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La guerra del quoziente
Ecco come funziona il meccanismo di tassazione della famiglia. E perché è diventato oggetto di scambio politico
È vero o non è vero che i consumi interni languono? È vero o non è vero che una delle principali cause è che gli italiani hanno poco da spendere? Ed è vero o non è vero che, oltre ai redditi bassi, incide anche un’iniqua forma di tassazione della famiglia? Se avete risposto sì a tutte e tre le domande, forse non lo sapete, ma siete favorevoli al quoziente famigliare. Due paroline che spesso vengono evocate quando ci si chiede che cosa può fare lo Stato a favore della famiglia, dopo che la famiglia ha fatto così tanto in favore dello Stato sostituendo un welfare pubblico inefficiente con uno famigliare efficace e poco costoso. Queste due paroline sono diventate protagoniste dello scontro politico perché sono diventate l’oggetto di “scambio” che l’Udc Pierferdinando Casini ha posto sul tavolo delle trattative con il governo per un eventuale ingresso dei centristi nelle fila della maggioranza.
E dire che nel ‘90 ci si era quasi riusciti a modificare il meccanismo fiscale italiano. La “grande rivoluzione” era a portata di mano. Il governo di allora ottenne una delega per riformare la tassazione sulle famiglie, ma la lasciò scadere senza mai applicarla. Non fu solo per inerzia politica: il problema è che il quoziente famigliare costa. Costa tantissimo. Nel 1990 si calcolò che per lasciare più soldi nelle tasche dei nuclei famigliari, lo Stato avrebbe dovuto rinunciare a 7 mila miliardi di lire di entrate. Oggi quei calcoli sono stati aggiornati e si parla di circa 5 miliardi di euro in meno. Un salasso che le finanze pubbliche non riuscirebbero a sopportare visto l’andamento delle entrate dei primi sette mesi del 2010, calate del 3,4%. Ma perché costa? E come si può fare per farlo costare meno? Vediamo.
20 anni fa il meccanismo del quoziente famigliare prevedeva l’importazione pari pari del sistema francese, che funziona così: la “famiglia fiscale” è composta dai coniugi, dai figli a carico e da tutti i familiare inabili che vivono sotto il loro stesso tetto. Il reddito di tutti i componenti viene aggregato e poi diviso per un quoziente che consiste nella somma dei coefficienti attributi ai singoli componenti: 1 per ciascuno dei due coniugi, 0,5 per ciascun figlio e per gli altri componenti a carico, 1 per il terzo figlio e per ognuno di quelli successivi e un altro 0,5 per ciascun componente disabile. Ottenuto il quoziente, su quello si applica la scala delle aliquote fiscali e il debito d’imposta così determinato viene moltiplicato per la somma dei coefficienti, ottenendo l’imposta complessivamente dovuta dalla famiglia. Un esempio pratico: nel caso di una famiglia monoreddito con tre figli e due nonni a carico, il reddito del capofamiglia viene diviso per sei (1 per il marito, 1 per la moglie, 0,5 per il primo figlio, 0,5 per il secondo, 1 per il terzo e 0,5 per ognuno dei nonni: totale, appunto, sei). In questo modo si “fa finta” che ogni componente abbia un proprio reddito. Sul risultato della divisione si applica l’aliquota fiscale corrispondente e il risultato lo si rimoltiplica per sei e il risultato è quanto quella famiglia deve pagare al fisco.
In questo modo le tasse da pagare calano più è grande la famiglia e, anche se fosse poco numerosa, molto difficilmente il quoziente famigliare farebbe pagare di più rispetto a quanto si paga oggi. Così, invece di rivedere il meccanismo dei quozienti, il sistema “francese” venne semplicemente messo da parte e si vararono una serie infinita di detrazioni e deduzioni a vantaggio della famiglia che avrebbero dovuto compensare la mancata adozione del nuovo meccanismo il quale, tanto per ricordarlo, permette di tenere conto non solo dei redditi delle persone, ma anche dei bisogni della famiglia perché, è perfino ovvio dirlo, un nucleo con due figli ha maggiori costi di una famiglia senza figli ed è logico che paghi meno. Oggi, invece, chi non ha figli paga le stesse tasse di chi ne ha due, perché le aliquote sono applicate esclusivamente sui redditi personali.
Per tutti questi motivi il meccanismo alla “francese” è diventato una bandiera di economisti e partiti che fanno della famiglia il loro punto di riferimento ideale e politico. Ma per gli stessi motivi per i quali una larga fetta di esperti lo sostiene, un’altrettanto larga fetta di esperti lo odiano. Ad avversarlo sono gli economisti “mercatisti” (per dirla alla Tremonti) e politici “ecologisti”. Il motivo è semplice. Gli economisti à la page sono contrari al quoziente famigliare perché disincentiverebbe la ricerca di lavoro da parte del secondo coniuge, in genere la donna. Il ragionamento è chiaro: se faccio pagare meno tasse alla famiglia, non c’è bisogno di due redditi e quindi la donna non cerca lavoro. Gli “ecologisti”, preoccupati per la sovrappopolazione, sono contrari perché questo meccanismo incentiva le nascite perché avere un figlio in più significa pagare meno tasse, a parità di reddito. E lo dimostra il caso francese uno dei pochissimi Paesi dell’Ocse che fin dagli Anni ‘40 prende esclusivamente la famiglia come unità impositiva. Nell’82 il meccanismo è stato modificato per rafforzare gli incentivi a favore della natalità e da allora il tasso di crescita della popolazione è sempre stato superiore alla media europea e, dall’inizio degli Anni ‘90 il divario si è accentuato. A ben guardare, in effetti, il problema non è tanto la mancanza di risorse per la riforma perché è chiaro che basterebbe usare la leva dei coefficienti per renderla meno costosa.
Il problema è tutto politico e di impostazione culturale. Cioè: se lo Stato ritiene che la scelta di fare figli sia solo una decisione individuale non c’è nessun motivo per cui debba accettare di incentivare fiscalmente le famiglie a procreare. Se, invece, lo Stato considera il rilancio della natalità sia una priorità politica (oltre che economica) allora 5 miliardi investiti sul futuro non sono poi così tanti.
IN 3 PASSICome funziona il fisco in Francia per una famiglia monoreddito con tre figli e due nonni |
DIVIDO PER 6 il reddito (1 per ogni coniuge, 0,5 per i primi due figli, 1 per il terzo e 0,5 per ogni nonno ) APPLICO l’aliquota corrispondente MOLTIPLICO PER 6 e trovo quanto versare al fisco |