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Il made in Italy che non ti aspetti

Vending machine, servizi per i cellulari e illuminazione. Ecco quali sono le industrie che all’estero associano al nostro paese come succede per l’abbigliamento o l’alimentare

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A cosa pensate quando sentite dire “made in Italy”? Alla moda, d’accordo. All’arredo e al design, certo. E al food, naturalmente, anche perché non è solo una questione di cultura del buon bere e del buon mangiare: all’estero la gastronomia tricolore fattura qualcosa come 20 miliardi di euro ed è la prima voce del nostro export. Ok, e poi? Giusto, c’è l’automotive. Non dimentichiamoci che la Fiat, specialmente nell’era Marchionne, si è imposta come uno di quei famosi cinque o sei gruppi che in un mercato sempre più concentrato e basato sulle economie di scala detteranno le leggi dell’oligopolio automobilistico mondiale. Basta così, non vi viene in mente nient’altro? Peccato, perché nel Belpaese ci sono alcuni settori che fanno meno scalpore rispetto ai soliti noti e che invece rappresentano, in tutto il mondo, esempi di assoluta eccellenza. Di più: in alcuni casi sono un vero ponte verso il futuro, perché i loro prodotti sono il frutto di investimenti in ricerca e sviluppo e nuove tecnologie. Anche quando si tratta di farsi un caffè. Ecco: sono quei settori, quelle società che, in silenzio, senza farsi tanta pubblicità, senza fare scalpore, senza quasi che nessuno se ne accorga, sono diventati nei rispettivi campi dei veri campioni del made in Italy. Business People li è andati a scoprire uno per uno.

Pausa caffè d’autore

Lo sapevate per esempio che il giro d’affari della filiera che produce, distribuisce e gestisce le vending machine (i distributori automatici, per intenderci) è per il 70% generato all’estero? E non si parla di bruscolini, visto che nel 2009 il comparto ha fatturato la bellezza di 2,4 miliardi di euro (in calo dell’11% rispetto al 2008, quando il mercato valeva 2,7 miliardi, ma si sa, la crisi non ha risparmiato quasi nessuno). Quella delle macchine per la distribuzione di bevande calde e fredde, cibo preconfezionato ma anche fresco e, sempre più spesso, altri tipi di prodotti che per ora si trovano soprattutto sugli scaffali della Gdo, è infatti in Europa una specialità tutta italiana. Ed è un settore in cui siamo così all’avanguardia che un’azienda come Ristora può permettersi di guardare dall’alto in basso un colosso come Nestlé. «Nel mercato dei prodotti solubili per distributori automatici Ristora detiene una quota dell’80%, Nestlé si ferma al 3%», dice con orgoglio Lucio Pinetti, presidente di Confida, l’associazione italiana della distribuzione automatica che conta 450 aziende aderenti, tra imprese che fabbricano vending machine e accessori, aziende che forniscono i prodotti distribuiti, società che si occupano di gestione delle macchine, e imprese di servizi e commercializzazione. «Da dove arriva questa specializzazione? Siamo stati i primi, durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale, a familiarizzare con i distributori portati dagli Alleati, quelli che vendevano la famosa bevanda gassata americana», racconta Pinetti. «Poi l’esigenza di perfezionare le macchine per ottenere un buon caffè espresso, all’inizio solo in ufficio, poi anche per strada, ha fatto sì che si creasse quel know how che oggi rappresenta il nostro vantaggio competitivo rispetto ai produttori degli altri paesi».Ma non è solo una questione di gusto: le macchine tricolori vanno forte all’estero anche per la loro semplicità di gestione e rifornimento, la tracciabilità e il tipo di interfaccia utente, che in alcuni casi somiglia più al monitor di un iPad che alla pulsanteria di un distributore automatico. Insomma è un trionfo anche dell’elettronica, «pure quella, fatta eccezione per qualche piccolo componente, tutta italiana», precisa Pinetti. Le prospettive future? Potenzialmente buone. Anche se il comparto risente fortemente dell’andamento dell’economia visto che se le aziende sono in crisi, licenziano, e se licenziano ci sono meno dipendenti a bere il caffè al distributore automatico. Però c’è una buona occasione all’orizzonte: la crescita dell’economia cinese potrebbe rappresentare una ghiotta occasione per convertire anche il Celeste impero alle nostre vending machine. Certo, a due passi dalla Cina c’è il Giappone, un paese in cui la diffusione e la cultura del distributore automatico è ancora più forte che da noi. «Ma il punto debole dei giapponesi», dice Pinetti, «è proprio la loro scarsa flessibilità nell’adattare ad altri tipi di consumatori i loro modelli di business».

I pionieri del Vas

Non tutti sanno cosa si intende per Vas. Sono i Value added services, ovvero: servizi a valore aggiunto. In pratica le migliaia di contenuti di intrattenimento, informazione e personalizzazione dei telefoni cellulari acquistabili direttamente dal terminale. Ebbene: sono un’invenzione italiana. Sarà perché il nostro Paese è stato da subito conquistato dal “telefonino”, prima come moda e poi come fenomeno di massa; sarà perché abbiamo immediatamente sentito la necessità di potenziarlo e di farne qualcosa di più di un semplice strumento per le chiamate e l’invio di sms; sarà perché siamo un popolo di cuori solitari in cerca dell’anima gemella (le prime killer application sono state quelle relative al dating on line). Resta il fatto che l’Italia si è dimostrata da subito un formidabile laboratorio per testare idee e prodotti. Se i primi a inaugurare il mercato nel 1997 furono Acotel e Tim con il servizio Scriptim by Acotel, oggi il leader di mercato è Buongiorno, società nata a Parma nel 2001 e diventata insieme con Dada e la stessa Acotel una delle grandi potenze delle applicazioni mobile e It a livello planetario. Buongiorno ha fatturato nel 2009 259 milioni di euro, di cui il 90% generato all’estero, ma anche i suoi concorrenti si sono difesi bene: nello stesso anno i ricavi di Acotel group hanno toccato quota 139 milioni, con il 72% di servizi venduti oltreconfine, mentre Dada ha incassato 155 milioni con un “tasso di esportazione” pari al 59%. Ma ha davvero senso parlare di esportazione? Buongiorno & co. sono vere e proprie multinazionali, con sedi dislocate nei mercati più strategici. In alcuni casi si tratta di filiali aperte dalla casa-madre, in altri di società inglobate per acquisirne il know how e presidiare con management locale piazze le cui dinamiche non sono sempre immediatamente riconoscibili, come per esempio in Sudafrica e in Sud e Nord America. Buongiorno, presente in 57 paesi, ha tra le altre cose stretto una joint venture con la giapponese Mitsui, che detiene il 3,3% del gruppo, per dare vita a Buongiorno Hong Kong, una società che farà da testa di ponte nella sconfinata regione orientale. «Paradossalmente è la concezione di un business internazionale che ha favorito lo sviluppo di un’intuizione italiana», spiega Mauro Del Rio, fondatore e presidente di Buongiorno. «L’innovazione, la sperimentazione continua di nuovi servizi sono alla base di una crescita che vogliamo comunque mantenere organica ed equilibrata». Per Del Rio il segreto del successo di Buongiorno sta nella permeabilità del gruppo. «Riusciamo a portare servizi creati in Italia negli altri mercati, così come importiamo nel nostro paese applicazioni che provengono dall’estero».

Idee luminose

Un settore non ancora consolidato come gli altri, ma molto, molto promettente è quello delle tecnologie per l’illuminazione ad alta efficienza (ovvero ad alto risparmio). L’Italia se la gioca gomito a gomito con la Germania e i mercati di riferimento non sono solo quelli dell’Unione (che attraverso la Commissione ha da varato nel 2009 i Regolamenti 244 e 245 per le misure di implementazione dell’illuminazione in ambito domestico e nel settore terziario), ma anche paesi al di là dell’oceano Atlantico, e persino dell’area mediorientale. «Ancor più che lo sviluppo della tecnologia a led noi stiamo promuovendo anche in ambito internazionale il tema della luce intelligente», spiega Riccardo Gargioni Luni, direttore generale di Assil, l’associazione italiana dei produttori di illuminazione che fa capo ad Anie (Federazione nazionale imprese elettrotecniche ed elettroniche) e Confindustria. «Quello è il vero risparmio energetico. Bruxelles ha finalmente capito che l’apparecchio da solo non basta a risparmiare, serve una corretta progettazione dell’impianto, ed è per questo che insieme ai colleghi delle altre associazioni europee stiamo lavorando a un lighting system legislation. Abbiamo dei casi di sistemi di controllo della luce made in Italy che stanno avendo grande successo», continua Gargioni Luni. «Penso a Guzzini, Disano, Fivep, e ai dispositivi della Reverbery, tutte aziende che trovano maggiore soddisfazione sui mercati esteri. C’è anche una società che sta sviluppando una collaborazione con Telecom per realizzare pali della luce che fungano anche da centraline per il monitoraggio dello smog o per le previsioni meteo».Quell’azienda è la Umpi di Cattolica, e se lo scorso anno ha generato il 25% dei ricavi all’estero, per il 2010 le previsioni parlano del 35%. Il fatturato 2009 si è attestato intorno ai 7 milioni di euro, ma per l’esercizio in corso è prevista una crescita del 20% con un ulteriore incremento, sempre del 20%, anche nel 2011. «Operiamo in 15 mercati, a cavallo tra Sud America, Medio oriente ed Europa, dove collaboriamo con le pubbliche amministrazioni locali per la realizzazione di impianti di illuminazione con sistemi di tele-gestione», dice Luca Cecchini, vicepresidente di Umpi. «Siamo stati i primi al mondo a idearli, verso la metà degli anni ‘90, e ora siamo in grado, facendo lavorare i dispositivi in un ambiente Internet, di controllare accensione, spegnimento e anche regolazione di ogni singolo punto luce attraverso il web. Non solo. Il brevetto di Umpi, il Minos system, permette persino di monitorare la zona circostante con telecamere Ip, garantendo anche la sicurezza in loco. Le nostre installazioni, per esempio, sono presenti in alcuni dei siti di interesse religioso di Ryad, in Arabia Saudita». La domanda sorge spontanea: a quando l’espansione un po’ più a Est? «In India stiamo costruendo un contatto che però è ancora tutto da verificare, e la Cina è un mercato eccezionale», ammette Cecchini, «ma dobbiamo restare cauti perché sono piazze colossali e noi siamo ancora una realtà medio-piccola. Senza contare che sbarcare in Estremo oriente potrebbe rivelarsi un’arma a doppio taglio: abbiamo qualche remora sul copyright».

NUOVO EXPORT

2,4 Miliardi di euro

259 Milioni di euro

Il fatturato della filiera delle vending machine. Il 70% è generato all’estero

Tanto ha incassato Buongiorno, leader nel settore Vas, nel 2009. Il 90% è frutto di operazioni internazionali