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Chi non paga pagherà

Una direttiva europea impone, dal 2013, che la Pubblica amministrazione saldi i fornitori entro 60 giorni. Per allora i 70 miliardi incagliati dovrebbero essere sbloccati. Sarà possibile? “Sì, se facciamo come dico io”, spiega l’onorevole Vignali. Ecco la sua proposta

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Quando alla fine del mese arriva il conto da saldare per la mensa del bimbo all’asilo comunale, si deve pagare subito, o quasi. Quando i vigili urbani impugnano il taccuino, scatta la multa e se non si paga entro qualche decina di giorni, scatta la mora. Quando però a dover tirare fuori i soldi per pagare il lavoro di altri è la pubblica amministrazione sono concessi tempi biblici. Alla faccia della reciprocità!Il vero scandalo all’italiana è questo: i 70 miliardi di euro che lo Stato deve rendere alle imprese per lavori fatti e mai pagati. Il secondo scandalo, direttamente collegato al primo, è che la media dei pagamenti di Comuni, Province, Regioni e vari enti statali si aggira sui 128 giorni, con punte che toccano anche i due anni, mentre la media europea è poco oltre i due mesi. E cosa succede quando lo Stato non paga? Semplice, si inceppa l’intero sistema economico, perché le aziende sono costrette a lavorare per sopravvivere e non finire fuori mercato, ma poi non hanno i soldi per pagare i sub-fornitori e i dipendenti. Il resto lo fanno le banche che non se la sentono di finanziare un’impresa che non riesce ad incassare i soldi per i lavori che ha svolto. Visto che l’Italia non riesce a risolvere il problema, che ci trasciniamo da decenni,ci sta provando l’Europa. A ottobre il Parlamento europeo ha approvato una direttiva contro il ritardo dei pagamenti nella pubblica amministrazione. L’obiettivo,decisamente ottimistico se non utopistico per alcuni, è quello di arrivare al 2013 con pagamenti addirittura entro 30 giorni, al massimo 60 in casi eccezionali. Se la scadenza non viene rispettata lo Stato dovrà pagare gli interessi di mora all’8%. Bello vero? Peccato che allo stato attuale sia poco più che una chimera.

La parola agli imprenditori

«Sa cosa le dico? Che quando sento parlare di pagamenti entro 60 giorni mi scappa una risata». Luciano Fecondini è uno degli italiani che allo Stato non crede più. Alla guida dei 250 dipendenti del Gruppo Medica e della Consobiomed, azienda di Mirandola in provincia di Modena, Fecondini lavora in un settore – quello della biomedica – «che non sarebbe stato colpito da questa crisi, se non fosse per i ritardi nei pagamenti da parte delle aziende sanitarie». Tanto per fare qualche esempio, «la media di attesa con cui oggi ci troviamo a fare i conti è sui 300 giorni, e le situazioni catastrofiche le registriamo nelle Asl di Campania, Sicilia e Lazio». Fecondini per avere i suoi soldi le ha provate tutte, «volevo anche promuovere azioni di pignoramento, ma contro la strutture sanitarie non mi è stato possibile, non si può». E così si trova oggi, a fine 2010, a cercare di prendersi i suoi soldi dalle aziende sanitarie di Lazio e Campania «dove abbiamo crediti che risalgono addirittura al 2003». «Noi imprenditori – dice Fecondini – ci sentiamo impotenti, in Italia nessun politico vuole realmente risolvere questo problema».

Non va meglio a Giovanni Fantacone, imprenditore marchigiano alla guida della Cme, una cooperativa di imprese che lavora nel settore delle attrezzature ospedaliere. Le note dolenti per Fantacone sono il Molise e l’Abruzzo, «dove si arriva fino a due anni di attesa, e con alcuni ospedali abbiamo arretrati del 2007. Ci sono aziende sanitarie con cui fatturiamo 120 mila euro all’anno ma vantiamo crediti pregressi per 400 mila», dice laconico. Le conseguenze sono devastanti. «Tagliare questi ritardi sarebbe innanzitutto un beneficio per lo Stato, che si troverebbe con gare d’appalto ben più affollate e prezzi abbattuti», aggiunge Fantacone. Invece il brutto vizio non si placa, e a rimetterci – paradosso dei paradossi – sono proprio le imprese sane che lavorano.

«Per fortuna nelle Marche siamo messi meglio rispetto ad altre regioni d’Italia – spiega Renato Picciaiola, presidente della Cna regionale – ma ora anche qui da noi i tempi di pagamento si stanno allungando di nuovo».«A volte mi trovo costretto a dover ricorrere a decreti ingiuntivi, e la cosa è spiacevole.

Ma non ci sono alternative», commenta Sergio Galdini, presidente di Estate Management Consulting, un’azienda fiorentina di 47 dipendenti che si occupa di pulizia e manutenzione degli immobili pubblici. «Il peso di questi ritardi è ancora tutto sulle spalle delle aziende, ma non si può continuare così. L’amministrazione pubblica dovrebbe fare convenzioni con le banche e indicare già nel bando di appalto l’istituto di credito a tassi convenzionati a cui rivolgersi, così che tutti i mesi le imprese possono smobilizzare il loro credito con le banche». Questo significa che «il rapporto diventa esclusivamente tra banca e pubblica amministrazione, perché è più giusto che sia il committente a doversi muovere». Uno stratagemma facile a dirsi, un po’ meno da mettere in pratica. Però nei territori in giro per l’Italia le associazioni di categoria stanno tentando di attuare accordi di questo genere, considerati al momento l’unica via d’uscita.

«L’anno scorso avevamo retto anche con i tempi lunghi, quest’anno non ce la facciamo più – ammette Giuliano Tombelli, presidente della Federazione impianti di Confartigianato Firenze e Toscana – Noi abbiamo le case di riposo pubbliche che non ci pagano, ho tanti colleghi del settore che sono messi in ginocchio dalle Ferrovie. Lo Stato dovrebbe usare i soldi stanziati per le imprese per pagarci, e non per coprire altri buchi del suo bilancio». Dove poi la situazione raggiunge livelli di allarme ancora più alti è in regioni come la Sicilia. Qui «la pubblica amministrazione rappresenta per molte imprese l’unico o il principale cliente». E se non paga, crolla tutto. Alessandro Albanese, presidente di Confindustria Palermo e a capo di un’azienda di arredamenti per uffici, spiega che a lui i soldi dello Stato arrivano «anche dopo un anno di attesa». «Tra privati, si possono stipulare contratti o avviare cause giudiziarie, con la pubblica amministrazione è tutto più difficile». Per questo «mettere in regola i pagamenti è una condizione fondamentale per la ripresa, ancora di più delle erogazioni a fondo perduto per le imprese».

Qualcosa si muove

«Gli imprenditori lo sanno, e ora anche lo Stato lo deve imparare: chi paga male e tardi, paga di più». Parola di Raffaello Vignali, vicepresidente della commissione Attività produttive alla Camera dei Deputati, e di recente nominato consigliere per le Pmi dal neoministro allo Sviluppo economico, Paolo Romani. «Quindici anni fa in Svizzera – spiega Vignali – hanno messo in rete banche, fornitori e aziende sanitarie, con l’obbligo delle banche di sbloccare i pagamenti. Il primo anno il risparmio è stato del 17%, perché se uno paga veloce, paga meno». E allora perché succede il contrario? «Un problema nasce dal Patto di stabilità imposto dall’Europa per il rigore dei conti pubblici. Il Patto considera il debito della pubblica amministrazione solo nel momento in cui si paga, e non al momento dell’impegno di spesa». Ne consegue che Comuni, Province e Regioni si limitano ad avviare opere e magari concluderle, senza però pagarle per stare dentro ai vincoli, con buona pace delle imprese esecutrici. Vignali segnala poi una debolezza della direttiva europea: «Non fa menzione dell’intermediario, in questo caso le banche», che non possono certo essere tagliate fuori. «La mia proposta – continua il deputato del Pdl – è quella di andare in banca e ristrutturare il debito, separando lo stock dal flusso: gli enti pubblici a partire da una certa data si impegnano a pagare in tempo, mentre sul debito pregresso accumulato si chiede ai creditori un piccolo sconto del 10-15%». E questa operazione potrebbe gestirla «la Cassa depositi e prestiti che è fuori dal Patto di stabilità». Questa è la ricetta di Vignali per presentarsi al 2013 in grado di mantenere i tempi prescritti dall’Europa. «La direttiva ci chiede di raggiungere il risultato tra un paio di anni – conclude -, ma credo sarebbe meglio iniziare subito. Resta solo un punto da chiarire: “Attenti a non annullare la direttiva con le solite deroghe che vanificano tutto”. Altrimenti ci siamo daccapo».

PAGHERÒ

128 giorni

Ritardo medio dello Stato italiano nei pagamenti

30 giorni

Limite massimo fissato Dall’Ue

60 giorni

Ammessi solo in casi straordinari