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Buoni pasto? Falsano il mercato. Eliminiamoli

La proposta provocatoria del presidente di Federdistribuzione, Giovanni Cobolli Gigli: “O si riducono le commissioni per l’esercente al 3%, o si metta il valore dei buoni in busta paga”, per tornare a dare il vero valore dei soldi

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È un mercato sempre più distorto con soggetti che ottengono grandi vantaggi, come Pubblica amministrazione e importanti aziende che indicono le gare di appalto al massimo ribasso (con scontri che arrivano fino al 20%), e altri soggetti che ne pagano il prezzo: bar, ristoranti, ma anche punti vendita costretti a subire commissioni sempre più elevate. Un sistema che mette in difficoltà sia gli esercenti, costretti ad accettare buoni pasto ‘svalutati’ per non perdere clienti, ma anche i dipendenti che, con buono pasto alla mano, ottengono un servizio inferiore al valore facciale del buono. È il quadro delineato dal presidente di Federdistribuzione Giovanni Cobolli Gigli che, dalle pagine del Corriere della Sera, prova a trovare una soluzione sulla gravosa questione dei buoni pasto. Per Cobolli Gigli il sistema non è più sostenibile anche perché circa un terzo dei buoni viene speso in supermercati come moneta di scambio e questo “ha effetti discorsivi proprio a causa della differenza tra contenuto del servizio offerto ai lavoratori e importo del buono”. Due le soluzioni proposte: o si ritorna a un utilizzo corretto del buono pasto, dove la commissione, così come in Francia, è del 3% (e non del 16-20%) e quindi assorbibile dall’operatore, oppure si affronta il tema alla radice. Come? La provocazione di Cobolli Gigli è semplice, ma diretta: mettere il valore del buono in busta paga, mantenendo la detassazione dei primi 5,29 euro. “In questo modo – spiega – è presumibile pensare che il dipendente continuerà ad andare al bar, al ristorante o al supermercato, ma si tornerebbe a dare il vero valore ai soldi”.