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Assedio a Tremonti
C’è chi chiede emendamenti, chi suggerisce soluzioni, chi manda ultimatum. Il ministero dell’economia è oggetto di continue richieste da parte di istituzioni e associazioni di categoria che chiedono sgravi, tagli e interventi. e ogni tanto deve cedere, ma non sempre
E’ destino di ogni ministro dell’Economia: essere assediato. Chi vuole aiuti, chi vuole sconti, chi vuole incentivi, chi vuole la leggina o l’emendamento giusto al momento giusto. Ma adesso è diverso. La Seconda Repubblica, con la radicalizzazione dello scontro politico, fa registrare un cambiamento nel ruolo del ministero dell’Economia. Via XX Settembre da buca delle lettere dove chiunque – banchieri, industriali, sindacalisti, politici locali – lasciano i propri desiderata, si è trasformato in una cittadella assediata. Le richieste sono diventate, complice la crisi economica, bombe intelligenti lanciate dall’esterno delle mura di cinta del Palazzone. Il cui inquilino, Giulio Tremonti, a stento riesce a resistere al tremolio delle pareti a ogni nuova richiesta di “soldi veri”. Ogni tanto deve cedere perchè c’è ragionamento è semplice e perfido: se non arrivano i soldi il Paese ne soffre e la colpa è di chi non li sgancia, cioè del ministro.
Le bombe degli industriali
Non passa giorno senza che i portatori di interessi grandi o piccoli non avanzino il loro emendamento alla prima legge in discussione, non suggeriscano soluzioni per uscire dalla crisi o non pongano ultimatum di sciopero fiscale o di licenziamenti di massa se non si fa come vogliono. Bombe, appunto. Nella prima Repubblica questa pratica si chiamava “assalto alla diligenza”, oggi, nell’era del capitalismo colbertista, ha la veste di “consigli per il bene nazionale”. Maestra in questa pratica è Emma Marcegaglia, leader di Confindustria, la quale, senza giri di parole, ha chiesto “soldi veri” a favore delle imprese. Secondo Confindustria il decreto anticrisi varato in estate non basta. E questo nonostante i colpi di mortaio “sparati” dai grandi industriali hanno spesso raggiunto il loro scopo, per esempio sulla moratoria sui debiti bancari. Nel decreto estivo il ministro ha anche concesso sconti per l’acquisto di beni strumentali, ma l’elenco non era abbastanza ricco (si trattava tuttavia di 2 miliardi di minori entrate fiscali) e gli industriali hanno chiesto di rimpolparlo. Inutilmente. In quel caso Tremonti ha reagito con la detassazione degli aumenti di capitale. Tradotto: i soldi nelle aziende metteteceli voi. Stessa storia per i pagamenti della pubblica amministrazione, i 30 miliardi che lo Stato deve al sistema produttivo. Gli industriali da anni fanno un lavoro ai fianchi del ministro che non ha pari; forse, proprio a quella somma si riferiva la Marcegaglia chiedendo “soldi veri”. Quelli sì che sono soldi veri, ma non ci sono. L’assedio continua.
Le armi affilate
Gli industriali, armati dei dati del loro ufficio studi, hanno attaccato sul fronte delle riforme. Il colpo basso è arrivato quando hanno detto che se l’assediato, Tremonti, seguisse i loro consigli, il Pil aumenterebbe del 30%. La richiesta principale è la sburocratizzazione, che porterebbe a una crescita del 4% del Pil. Seconda richiesta: spese per le infrastrutture (in perfetto stile keynesiano), che farebbe crescere il Pil del 2%. Terza richiesta: una scuola “più vicina alle imprese”, quindi più laureati in ingegneria e meno professori di latino. Secondo gli industriali se i nostri dottori fossero preparati come i loro colleghi europei il Pil italiano salirebbe (addirittura!) del 13%. Tremonti è assediato anche da chi chiede le liberalizzazioni, una richiesta che fa fatica a soddisfare, la storia lo ha dimostrato. La battaglia su questo fronte è cruenta. Secondo il centro studi di Confindustria, liberare l’economia dai lacci e lacciuoli permetterebbe una crescita dell’11% del Pil. Poi c’è il capitolo retribuzioni. Non è un mistero che gli industriali chiedano al ministro del Welfare, Sacconi, di rafforzare il secondo livello di contrattazione, quello aziendale, «introducendo strumenti più moderni per pagare meglio i lavoratori che contribuiscono ai risultati delle imprese» con le parole di Montezemolo. Ovviamente anche una riduzione del peso del fisco sulla busta paga (il famoso “cuneo fiscale”) sarebbe una mossa ben vista. Per ora, non se ne parla. Così come non si parla del fondo pubblico che la Marcegaglia ha chiesto al governo per rafforzare patrimonialmente le imprese. Ma la richiesta più importante, quella che potrebbe davvero far vedere chi mente tra le banche (che dicono che il credito al sistema produttivo non ha rallentato) e le imprese (che sostengono il contrario) è sospendere l’accordo Basilea2, che individua le imprese meritevoli di credito con rigidi rating patrimoniali. Per le aziende, sarebbe più facile farsi finanziare. Se non è possibile, e tutto fa ritenere che non lo sia, l’alternativa proposta è istituire “mediatori del credito”, funzionari pubblici (in Francia sotto la banca centrale) che assistono banche e imprese.
I missili delle associazioni
A dare man forte agli industriali nell’assedio a via XX settembre sono molte altre organizzazioni (o meglio, tutte). I più attivi sono i sindacati che non rinunciano a lanciare missili nonostante abbiano rinunciato alla bomba sciopero generale. Una delle richieste chiave è un taglio alle tasse sui lavoratori dipendenti, il già citato cuneo fiscale. Raffaele Bonanni della Cisl è entrato nello specifico: «detassare le tredicesime o con un livello zero sui soldi incassati nelle trattative di secondo livello o con l’abbassamento delle aliquote». Una richiesta che ha trovato d’accordo Carlo Sangalli, leader di Confcommercio. Ma non è finita: Bonanni chiede anche di estendere la cassa integrazione ordinaria a chiunque perde il lavoro. Luigi Angeletti di Uil chiede invece di allentare il “patto di stabilità interno” e raddoppiare la durata di Cig mentre Renata Polverini di Ugl vuole il quoziente familiare e l’estensione alle famiglie della moratoria sui debiti delle imprese. Il ministero, però, resiste.Anche le banche non scherzano quando si tratta di assediare il Palazzo. Una delle loro richieste ha colpito il bersaglio. Si tratta di una formulazione per nulla aggressiva della legge sulla class action, che permette a più individui di fare causa insieme a una società. A farne le spese sarebbero stati soprattutto gli istituti di credito che, però, si sono salvati. Nulla da fare, invece, per un’altra importante richiesta fatta discretamente da Corrado Faissola, leader dei banchieri nazionali, quella di abbassare il peso del fisco sul fondo rischi in modo da poterlo rimpinguare con accantonamenti ad hoc pagando meno imposte. Bella mossa, ma inutile. Anche perché Tremonti, che ha un’idiosincrasia genetica verso i banchieri, ritiene di aver già fatto un enorme piacere agli istituti varando il terzo scudo fiscale. Per le banche è tutto. Il resto sono insulti.
più sconti per l’acquisto di beni strumentali
riduzione dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione
semplificazione degli iter burocratici
più spese per infrastrutture
maggiore vicinanza tra scuola e imprese
taglio al cuneo fiscale
introduzione di nuove liberalizzazioni
sospensione accordo europeo di basilea2
attenuazione della legge sulla class action
riduzione del peso del fisco sul fondo rischi
taglio alle tasse che gravano sui lavoratori dipendenti
estensione della cassa integrazione ordinaria a tutti coloro che perdono il lavoro
allentamento del “patto di stabilità interno”
introduzione del quoziente familiare ed estensione alle famiglie della moratoria sui debiti
Giulio Tremonti