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La festa (cinese) è finita: anche il lusso piange
Per la prima volta il numero di negozi è in calo con le aperture che non compensano le uscite. Resistono solo i monomarca. Pesano (anche) le nuove abitudini di acquisto cinesi
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La festa è finita, anche il lusso piange. Non si può crescere per sempre d’altronde, e il dato contenuto nel rapporto Store wars era atteso da tempo: tra luglio 2016 e luglio 2017 per la prima volta si registra un saldo negativo nelle aperture di negozi. Insomma, le chiusure hanno superato le inaugurazioni. A dirlo sono i dati del Proprietary Bernstein Store Count database, un archivio di proprietà della casa d’investimento, che include circa 7 mila negozi facenti riferimento a 36 luxury brand.
Pagano soprattutto i department store, che rappresentano il 31% della distribuzione e hanno perso l’1,3%. Resistono solo i monomarca standalone che si attestano al 24% del mercato grazie a un +1,2%. Possono crescere ancora i brand con una rete limitata come Céline, Loro Piana, Van Cleef & Arpels, Harry Winston, Moncler e Saint Laurent. Le ultime due griffe, in particolare, sono state quelle ad aver messo a segno il numero più alto di aperture nette,mentre Dunhill e Burberry hanno chiuso più saracinesche.
«La competizione è sempre più alta dal momento che sempre più marchi emergenti stanno conquistando notorietà e credibilità, per questo stiamo osservando una battaglia per le quote di mercato che vedrà vincitori e sconfitti», riporta l’analisi di Bernstein. «Siamo convinti che i marchi con uno store network ben bilanciato a livello geografico e un approccio omnichannel potranno avere un vantaggio competitivo».
A livello geografico, è la Cina l’area che registra il maggior numero di chiusure (62). Male anche il Medio Oriente, mentre a salvare la situazione sono Americhe e Giappone, che riportano una crescita modesta. A spiegare la virata cinese pò essere anche la sintesi dell’evento tenuto a Milano in occasione dell’apertura della Fashion Week per Mei.com, il più importante flash sales store online del lusso e della moda in Cina, che da tempo punta sui brand italiani.
Secondo un ricerca di Bain&Company sull’evoluzione del mercato del lusso da Pechino a Shanghai, la Cina rappresenta il 7% del mercato ma assorbe il 30% delle vendite totali, l’8% delle quali in rete. Il «consumatore tipo» cinese è cambiato negli ultimi anni: guarda ad acquisti più consapevoli e meno entusiastici (dal 32% del 2013 al 18% atteso nel 2020). Non compra più qualunque cosa, ma è esigente, esploratore e attirato dai nuovi brand. Cresce anche la classe media cinese, quella più attenta al prezzo, che nel giro di tre anni arriverà a comporre il 20% del totale rispetto al solo 4% del 2013.
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