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Sostenibilità

Rinnovabili, Il verde crea lavoro (oppure no?)

Gli incentivi all’energia da fonti rinnovabili nel 2010 ci sono costati 3 miliardi di euro. Se fossero stati investiti nell’industria tradizionale avrebbero creato più occupazione. È vero, ma la green economy è ben altro. Parlano Marco Roveda, presidente di Lifegate, e Luciano Lavecchia e Carlo Stagnaro, dell’istituto Bruno Leoni. Due economisti e un imprenditore a confronto sul tema cruciale per il nostro futuro

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Secondo il rapporto Onu Green jobs: towards decent work del settembre 2008 il solo settore delle energie rinnovabili impiegava già 2,3 milioni di persone, con previsioni a crescere. Lo studio del Gse e dello Iefe-Bocconi del maggio 2009 stimava che entro il 2020 gli occupati in Italia saranno intorno a 250 mila, con una quota maggiore per le bioenergie con circa 100mila impiegati, seguito dall’industria eolica e del solare. Nel convegno di Fondazione Cariplo del novembre 2010 Green Jobs. Progettare, lavorare e pensare il futuro della terra, nel nostro paese il potenziale occupazionale delle energie rinnovabili è molto rilevante. «A seconda di come si sfrutteranno le potenzialità, il fatturato potrà oscillare dai 30 ai 70 miliardi di euro annui. E il conseguimento degli obiettivi Ue 2020, secondo una ricerca del gennaio 2011 dell’Osservatorio Energia Ires-Cgil, significherebbe per l’Italia da 60 a 250 mila posti di lavoro in più», afferma Marco Roveda, Presidente e fondatore di LifeGate. La “rivoluzione verde”, insomma, incardinata oggi sul fotovoltaico e sulle aziende energetiche ecosostenibili, combatterà l’inquinamento, ridurrà il consumo di risorse non rinnovabili, rallenterà i cambiamenti climatici e risolleverà le sorti delle economie creando nuovi posti di lavoro. Ma secondo altri, non tutto è oro quel che è verde…

BOOM O FLOP?A sgonfiare l’entusiasmo per la green economy sono stati recentemente due ricercatori italiani, Luciano Lavecchia e Carlo Stagnaro. La conclusione dello studio Are green jobs real jobs? The case of Italy (maggio 2010), firmato per conto dell’Istituto Bruno Leoni, è che le fonti rinnovabili non sono uno strumento efficiente per la creazione di posti di lavoro. Perché? «Perché la green economy è come la luna», afferma Luciano Lavecchia, «c’è un lato che tutti vedono, e un lato che resta oscuro. Il lato visibile è quello dei posti di lavoro creati dai sussidi alle fonti di energia rinnovabile. E’ ovvio, infatti, che qualunque industria, se sussidiata, occupi un certo numero di addetti. In Italia esistono stime diverse, ma si può supporre che eolico e solare fotovoltaico impieghino tra le 16 e le 40 mila persone». Tuttavia, affermano Lavecchia e Stagnaro, il successo dell’energia “pulita” non dipende dalla sua effettiva competitività: è essenzialmente figlio dei sussidi che vengono elargiti: «Secondo l’Autorità per l’energia, sono del valore di circa 3 miliardi di euro nel 2010, e potrebbero salire fino a 7 miliardi nel 2020 per anno», continuano i due ricercatori. Quindi, per valutare gli effetti complessivi dell’operazione, almeno sotto il profilo occupazionale, Lavecchia e Stagnaro si sono chiesti se quelle risorse finanziarie, sottratte al privato attraverso aggravi tariffari, avrebbero generato più posti di lavoro se lasciati nelle mani dei consumatori di energia. «In media la creazione di un impiego verde assorbe un capitale pari a circa cinque posti “tradizionali”». Ne seguirebbe quindi che il “green deal”, per quanti meriti possa avere sotto il profilo ambientale, rappresenta un costo sociale dal punto di vista del saldo netto tra i posti di lavoro creati e le opportunità occupazionali distrutte.

COS’È DAVVERO GREEN ECONOMYIl limite dello studio Bruno Leoni sta nel fatto che prende in considerazione solo i settori eolico e fotovoltaico. Ma che cos’è nel suo complesso la Green Economy? Marco Roveda è in Italia un caso di successo dell’economia “sostenibile”. L’imprenditore nel 1978 abbraccia l’agricoltura biodinamica e nel 1981 fonda Fattorie Scaldasole che diventa la prima azienda agroalimentare biologica in Italia. In breve tempo oltre 60 mila aziende seguono l’esempio e iniziano a produrre biologico portando l’Italia dall’ultimo al primo posto in Europa. Roveda poi nel 2000 vende Scaldasole e fonda LifeGate. «Green economy», sottolinea l’imprenditore green, «non è solo produrre energia da fonti eoliche o fotovoltaiche, ma è fare impresa in modo sostenibile, ovvero fare tutto quello che stiamo già facendo, tenendo conto del benessere dell’uomo e dell’ambiente. Per questo non è pertinente oggi paragonare i lavori convenzionali ai green jobs, perché tutti i lavori oggi dovrebbero essere finalizzati al benessere nostro e dell’ambiente in cui viviamo. Un modello di sviluppo economico che non tiene conto dell’ecosistema, basato sulla crescita infinita in un mondo che ha dei confini, è demenziale e cancerogeno. Il cancro ha le medesime sembianze».

IL GREEN CONVIENELe obiezioni profilate da Lavecchia e Stagnaro, conti alla mano, comunque fanno riflettere: «Il nostro rilievo critico», affermano, «è sul fatto che le stesse risorse, se investite in altri settori dell’economia, potrebbero creare molta più occupazione». Ci si chiede quindi se valga la pena sussidiare la green economy visto che produce meno occupati dell’industria tradizionale a parità di investimenti. Roveda non ha dubbi: «Tutta l’economia in qualche modo è sovvenzionata dallo Stato. Sovvenzionando l’industria convenzionale, vogliamo forse fare concorrenza a Paesi i cui operai lavorano 360 giorni all’anno, 15 ore al giorno, per un tozzo di pane e senza i costi delle infrastrutture necessarie? O desideriamo utilizzare i nostri punti di forza che sono il patrimonio artistico, le possibilità turistiche, la nostra creatività, la capacità di creare bellezza, quello che è rimasto di bello dopo uno sviluppo industriale fatto da persone esclusivamente alla ricerca di soldi facili?». Certo, tutti continuiamo a domandarci quando produrre elettricità verde sarà economicamente vantaggioso anche senza sussidi. «Per paragonare i costi tra energia pulita e quella sporca e inquinante», commenta Roveda, «bisogna considerare anche i costi esterni, ad esempio i costi di smantellamento degli impianti, i costi medici delle malattie che provocano, i danni ambientali ecc.. Se lo facessimo saremmo già arrivati. E poi ci sono settori green come la forestazione, che oggi occupa in Italia 410 mila persone, o l’agricoltura biologica, che necessitano di investimenti zero».

ENERGIA VERDE IN CIFRE

ONU 2008Le rinnovabili contavano 2,3 milioni di occupati

GSE/IEFE 2009In Italia previsti 250 mila posti di lavoro entro il 2020

FONDAZ. CARIPLO 2010Fatturati possibili dai 30 ai 70 miliardi di euro annui

RESPONSABILE È PROFITTEVOLEMolti si chiedono quanto sia il ritorno sul capitale investito di un’impresa green rispetto a un’impresa normale. Nel 2004 Al Gore e David Blood fecero scalpore creando una società di investimenti dedicata alle imprese verdi perché ritenevano potessero generare più profitti a lungo termine rispetto alle imprese convenzionali. «Da anni si sa che un’impresa responsabile funziona meglio. Già nel 2002 l’European Baha’i Business Forum ha scritto che investire nell’etica produce profitti almeno uguali, se non maggiori, rispetto a investimenti che non fanno dell’etica la loro priorità. Parallelamente al fiorire di investimenti etici, si sono registrati altrettanto numerosi crolli di colossi che facevano della spregiudicatezza una vera e propria prassi». Vero è che un buon indice di sostenibilità è già un dato che influenza le valutazioni borsistiche e una pretesa degli azionisti delle grandi società: «Le società capaci di mantenere le promesse, di pianificare nel lungo termine, di investire per migliorarsi e di premiare la sostenibilità, a volte anche a discapito del pro fitto nel breve periodo, che investono nella formazione e nella gestione decisionale chiara, quelle che responsabilizzano i dipendenti, diventano l’obiettivo di un investitore accorto e profittevole». Ma ecosostenibilità e business di successo possono andare di pari passo? Molti non credono che l’esigenza di creare ricchezza e fatturati propria del libero mercato possa andare con gli ideali della green economy. La sfida secondo Roveda è tradurre i valori in progetti concreti, partendo da un modello “people-planet-profit”: «Io rispetto l’ambiente e l’uomo ma non sono contrario a tutto, per esempio: no all’energia eolica perché le pale sono brutte; no al fotovoltaico perché occupa terreno agricolo. La differenza è “come” si fanno le cose. Per ridare animo all’economia bisogna infondere fiducia nel futuro e oggi questo vuol dire rifare il mondo da capo, in un’altra maniera. Come in un “dopoguerra” in cui si ricostruisce tutto. E tutti sanno che nei “dopoguerra” c’è un grande fiorire dell’economia e in questo caso sarebbe green economy».

Gli incentivi all’energia da fonti rinnovabili nel 2010 ci sono costati 3 miliardi di euro. Se fossero stati investiti nell’industria tradizionale avrebbero creato più occupazione. È vero, ma la green economy è ben altro. Parlano Marco Roveda, presidente di Lifegate, e Luciano Lavecchia e Carlo Stagnaro, dell’istituto Bruno Leoni. Due economisti e un imprenditore a confronto sul tema cruciale per il nostro futuro