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Lavoro

Al Sud è emergenza occupazione

Secondo il dossier di Fondazione Studi Consulenti del lavoro, nel Mezzogiorno, nel 2021 gli occupati sono 125 mila in meno rispetto al 2019. E quattro contratti su dieci sono temporanei e part time

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Dopo la pandemia, il Sud è ancora più indebolito sotto il profilo occupazionale. Il calo degli occupati, passati da 6,093 milioni del 2019 ai 5,968 milioni del 2021, per una perdita di circa 125 mila unità (-2,1%), è stato solo in parte attenuato dall’eccezionale boom del settore edile, l’unico a registrare nelle Regioni meridionali un saldo positivo nel biennio (+ 60 mila occupati). È quanto emerge dal dossier “Il lavoro nel Mezzogiorno tra pandemia e fragilità strutturali” della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. Alla base dell’indagine, la prima del dopo pandemia con dati Istat regionali e provinciali aggiornati al 2021, le criticità di un’economia e di un sistema lavoro che non riescono a invertire la loro parabola declinante.

Oltre alla contrazione occupazionale, il dossier evidenzia altri aspetti fondamentali come la depressione dell’offerta di lavoro e il deterioramento della già bassa qualità del lavoro. Nel biennio 2019-2021, infatti, le persone in cerca di lavoro al Mezzogiorno sono diminuite di 129 mila unità per una contrazione del 9,9% rispetto al -3,6% del Centro Nord. Il tasso di inattività tra la popolazione in età lavorativa è passato dal 45,4% del 2019 al 46,2% del 2021, collocandosi al di sopra del resto del Paese di ben 16,3 punti percentuali. La crisi ha, inoltre, evidenziato la precarizzazione dell’occupazione meridionale: nel 2021, su dieci contratti attivati ben quattro risultano temporanei e part time (nel Centro Nord la percentuale è del 28,1%). Di contro, si è ridotta la quota delle assunzioni con contratti a tempo indeterminato, dal 32,1% del 2014 al 17,1% del 2021.

Un altro fattore è l’impoverimento del lavoro. Il calo degli stipendi, insieme alle difficoltà vissute dai tanti lavoratori autonomi, ha incrementato, durante la pandemia, le famiglie in situazioni di povertà anche tra gli occupati. Al Sud, poi, diversamente dal resto d’Italia, si amplia il divario di genere: nel biennio 2019- 2021, le donne hanno registrato una perdita occupazionale (-2,7%) di gran lunga superiore a quella degli uomini (-1,7%) e, in generale, il tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno si attesta al 33%, ben 23,8 punti in meno di quello maschile e 25 punti al di sotto di quello del Centro Nord.

Anche la questione giovanile nel Mezzogiorno è da anni una vera e propria emergenza nazionale. Alle ataviche criticità del contesto meridionale (scarsità di opportunità lavorative, precarietà del lavoro, calo demografico), si è aggiunto, negli ultimi anni, un diffuso atteggiamento di disaffezione e allontanamento dal lavoro. Tra il 2010 e il 2020, al Sud si è avuto un calo di quasi 400 mila occupati tra i giovani con meno di 35 anni, che ha investito soprattutto i giovanissimi, tra i 15 e i 24 anni.

“L’economia meridionale”, spiega Rosario De Luca, presidente di Fondazione Studi, “negli ultimi vent’anni ha visto crescere sempre più il proprio divario rispetto al resto del Paese. Basti pensare a Decontribuzione Sud, utilizzata dalle aziende per il 57,3% o al Reddito di Cittadinanza che di fatto non hanno agevolato l’inserimento lavorativo nel lungo periodo. In tale contesto, qualsiasi politica occupazionale rischia di avere il fiato corto, in assenza di interventi che permettano un vero rilancio del Mezzogiorno. Tali strumenti rischiano di perdere la loro efficacia se non supportati da misure strutturali”, ha concluso.

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