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Attenzione, arrivano i bot!
I software di Robotic process automation, integrati con l’A.I., consentono di automatizzare sempre più operazioni e sono destinati a diffondersi in ogni settore. Ma le pmi italiane rischiano di rimanere indietro per la mancanza di un’adeguata cultura tecnologica
«L’intelligenza artificiale (I. A.) – ovvero modelli digitali, algoritmi e tecnologie che riproducono la percezione, il ragionamento, l’interazione e l’apprendimento – è oggi maturata al punto da rappresentare un fattore centrale nella trasformazione digitale della società»: attacca così il Programma Strategico per l’Intelligenza Artificiale (I.A.) 2022-2024, pubblicato dal Mise alla fine di gennaio, in cui si ribadisce che nei prossimi anni l’A.I. e le sue applicazioni influiranno in maniera massiccia sulle attività economiche e, su questa base vengono individuati obiettivi e settori prioritari di intervento. Non teoria speculativa, dunque, ma implementazione progressiva nel mondo produttivo. Leggi: lavoro…No, non sono le «navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione» di un distopico futuro alla Blade Runner, ma un presente che si è affacciato da molti anni sotto forma di piccole routine, chatbot, simpatici avatar che ci salutano dalle pagine web delle aziende promettendo di rispondere alle nostre perplessità, e sono entrati nelle case attraverso i vari Siri, Cortana, Alexa e via dicendo. Con l’evolversi delle tecnologie, le capacità di tali soluzioni aumentano a livello esponenziale, sia in complessità che in possibilità di integrazione con le infrastrutture già esistenti, rendendo il passaggio particolarmente vantaggioso dal punto di vista economico. Abbiamo visto che i maggiori istituti bancari hanno progressivamente eliminato le casse (e i cassieri), sostituiti da terminali “intelligenti”, e simile sorte è riservata a tutti i compiti ripetitivi, o caratterizzati da procedure a bassi livelli di complessità. L’Abi Lab nel suo ultimo rapporto (2020) quantifica nell’85% del campione l’uso di tecnologie ICT, con la prospettiva di incrementare ulteriormente la penetrazione. L’abbattimento dei costi va a tutto vantaggio di un recupero di competitività delle nostre aziende, fattore di grande appeal per il comparto industriale e produttivo. Un rapporto Garter (confortato anche dalle stime del New York Times) calcola che nel 2021 l’impatto della vendita di sistemi Rpa è nell’ordine dei 1,9 miliardi di dollari e destinato ad aumentare fino al 13 miliardi nel 2030. La pandemia con il boom dei lavori da remoto ha inferto uno sprint ulteriore all’evoluzione nel senso dell’ottimizzazione e della modernità, che ormai pare imprescindibile. Ma è davvero così semplice? «Quando ho iniziato io, nel 1998, di A.I. si cominciava a parlare», spiega Domenico Navarra, Ceo di Studio Boost, che sviluppa sistemi automatizzati per la gestione aziendale, di recente confluita in Dylog Italia. «I progetti di automazione costavano cifre a sei zeri e in effetti i clienti che avevo allora si chiamavano Eni, Finmeccanica, L’Oréal, Fiat, tutte società che per vari motivi avevano bisogno di automatizzare determinate attività.
Oggi le cose sono diverse, perché con il cloud che ha tolto di mezzo la necessità di pesanti e costose infrastrutture è diventato tutto più abbordabile. Non è nemmeno piu richiesta l’audacia di investire in progetti custom, ci sono i boxset già impostati per i singoli problemi, che si adattano alle varie esigenze: acquisti, contabilità, fornitori, e via dicendo. Eppure i clienti restano gli stessi, cioè aziende dal taglio molto importante in termini di fatturato come di numero di dipendenti, perché non si è formata una nuova cultura del lavoro. Il successo dell’Rpa non è ancora sbocciato, anche se ci sono le condizioni. La mancanza di cultura blocca di fatto l’adozione di determinate procedure». Anche la mancanza di trasparenza nella governance delle procedure automatizzate non aiuta, così come il timore di esporsi all’esterno, in modo non direttamente controllabile dal diretto interessato. «Le due cose vanno di pari passo, la mancanza di conoscenza può generare una mancanza di fiducia», osserva Navarra. «A gennaio 2021 abbiamo rilasciato un sistema gestionale che grazie a logiche di intelligenza artificiale e Rpa è in grado di leggere l’estratto conto e riconciliare in automatico il cassetto fiscale. È qualcosa che tutti devono affrontare e che costa molta fatica. Ovviamente per connettere il conto corrente bancario abbiamo utilizzato le tecnologie a disposizione, ci siamo appoggiati a provider Aisp che sono soggetti all’approvazione delle banche nazionali, il nostro è autorizzato da Bundesbank. Ebbene, rispetto ai nostri 25-30 mila utenti, il numero di quelli che si sono appoggiati al nuovo sistema è risibile, nell’ordine del 5%. I clienti non sanno cosa sia un server Aisp e non si rendono nemmeno conto che quando inseriscono le credenziali per accedere al conto bancario sono nella pagina della loro banca, non nella nostra pagina. Il problema culturale c’è e va superato. È qualcosa che dovrebbe partire dalle scuole e richiede una strategia precisa, in termini informatici, amministrativi e imprenditoriali che nella maggior parte dei casi non c’è. Lo diceva già l’Ocse nel 2006. L’imprenditore medio europeo, non solo italiano, è un supertecnico che conosce perfettamente il proprio prodotto dal punto di vista del mercato, ma è carente dal punto di vista amministrativo, finanziario e gestionale».
È anche vero che la struttura imprenditoriale italiana è piuttosto peculiare rispetto ai nostri competitor, europei e non, e cioè ancora saldamente legata a un passaggio genitore-figlio che in molti hanno indicato come fattore di mancata crescita. «Uno studio del professor Luigi Zingales di qualche anno fa si interrogava sulla ragione per cui a un certo punto l’Italia ha smesso di crescere. Non ci sono evidenze sul fatto che l’imprenditoria italiana abbia avuto carenze sul piano strutturale. Solo che, a partire dalla metà degli anni 90, si è cominciato a disinvestire totalmente sotto l’aspetto tecnologico», spiega ancora Navarra. «Questo, e la riduzione a commodity di tutto quello che è informatica e tecnologia avanzata, ha portato le aziende italiane a essere meno competitive, a crescere meno delle altre, e quindi a delocalizzare per abbattere i costi. Ma le tecnologie Rpa esistono, sono pronte per essere adottate su larga scala e fare molte delle attività dei colletti bianchi». Anche un timore di questo genere potrebbe ragionevolmente porre un freno allo sviluppo e all’adozione delle nuove tecnologie. In realtà, come sottolinea l’esperto, «una ricerca di Price Waterhouse Coopers di un paio di anni fa prevedeva il 43% dei posti a rischio. Certo, era prima del Covid, ma è solo una questione di tempo. Finora a essere colpite sono state le tutte blu. Ma nel prossimo futuro saranno gli impiegati a essere sostituiti dall’automazione.
Il panorama che il World Economic Forum ha delineato per i prossimi 30 anni prevede cose che in realtà si sono già realizzate: gli storage gratuiti per tutti, internet nel piu piccolo villaggio africano, la rivoluzione della blockchain nei pagamenti, nella riscossione dei tributi che a Dubai già fanno da tre anni, nelle elezioni… Il mondo va in quella direzione. Si tratta di pianificare un futuro prevedibile, capire che acquisendo certe competenze quando arriveranno i momenti bui che operano una selezione di fatto tra le aziende, si sarà già skillati per inserirsi nella economia automatizzata». Ma se le cose stanno davvero così, nel futuro gli unici posti di lavoro “sicuri” saranno quelli ad alto contenuto tecnologico ed informatico. Del resto, già oggi per esempio le posizioni aperte di Amazon che non siano magazziniere o corriere richiedono un test di coding. Non certo per programmare, ma per verificare che il futuro dipendete abbia le competenze logiche per capire le sequenze in cui avvengono determinati processi. Addirittura, si parla di intelligenze artificiali dirigenti, che possono partecipare ai consigli di amministrazione e i test che sono stati fatti dimostrano che in certe situazioni l’A.I., ragionando su dati concreti, numeri, riesce a prendere decisioni molto più efficaci. È un mondo a due velocità quello che vede la ricerca premere sull’acceleratore, mentre il mondo industriale ancora si muove in punta di piedi cercando di evitare gli sconvolgimenti. E mentre si cerca di trovare la quadra, già si parla di analisi predittiva applicata all’Intelligenza Artificiale. Quella che, nella sua versione più elementare, consente a Netflix, per dire, di suggerire contenuti sulla base dei like assegnati ai programmi visti, ma che è già in grado di eseguire previsioni più complesse, come valutare intere strategie aziendali, guidare le selezioni del personale e impostare business plan. «Dubito che un robot possa implementare una strategia, ma una volta implementata, l’Intelligenza artificiale può correggere eventuali imprecisioni», osserva Navarra. «Comunque stiamo parlando di lanciare razzi quando ancora andiamo in bicicletta. Nel 2019 Facebook e Microsoft stanziarono diversi milioni di euro per la formazione in tre Paesi europei perché non riuscivano a vendere più niente delle nuove tecnologie, cloud etc. Hanno capito che la formazione è fondamentale. Quei Paesi erano Polonia, Portogallo e Italia. Se questi sono i tre Paesi che hanno bisogno di formazione perché i prodotti non si capiscono, il problema è reale».
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