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Basta lamentarsi!

Alfredo Cionti è diventato imprenditore quando aveva 31 anni. «Ecco perché dico che i miei coetanei devono finirla di fare i piagnoni e darsi da fare». Parla l’a.d. della Cionti srl che controlla marchi come Avirex e Belfe

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Alfredo Cionti, milanese, classe 1964, a soli 34 anni ha vinto il premio Imprenditore dell’anno (1998), quale “Miglior Imprenditore Emergente”. Il motivo? Aver portato il fatturato di Avirex in quattro anni da 4 a 80 miliardi di lire. Con un passato da surfista professionista, assistente all’insegnamento presso la cattedra di Diritto Industriale della Statale di Milano e amministratore delegato di Messaggerie Musicali, Alfredo Cionti si lascia guidare da fortunate intuizioni e nel 1995 fa il grande salto e diventa imprenditore. Si aggiudica, infatti, nel 1996 la gestione della licenza del marchio Avirex, produttore dei famosi pantaloni di cotone Chinos forniti all’esercito americano. Dapprima è amministratore delegato della società italiana licenziataria del marchio (Ateca), poi presidente con l’acquisizione di una quota di controllo. Ma non è che l’inizio. Entusiasmo e instancabilità senza pari nel 2008 lo mettono in contatto con Medinvest, che gli affida il ruolo di amministratore delegato della Belfe e il compito di risanare l’azienda portandola a raggiungere un ebitda positivo. Dopo aver raggiunto l’obiettivo, già dal primo anno, Medinvest e Alfredo Cionti decidono di fondare la Cionti, una società attiva nelle produzione e distribuzione di abbigliamento sportswear con un modello di business integrato e un portafoglio diversificato e bilanciato di brand in licenza dalla forte riconoscibilità. Il Gruppo Cionti oggi fattura 30 milioni di euro.

Quali sono state le esperienze più stimolanti degli anni da amministratore delegato di Messagerie Musicali?Il periodo in sé era molto stimolante. All’inizio degli anni ‘90 gli Sugar stavano mettendo le basi di molti progetti importanti e avere l’opportunità di lavorare a fianco di Caterina Caselli e del figlio Filippo Sugar è stato veramente interessante. Mi hanno insegnato a costruire un progetto. E in questo senso un cantante è come una linea di abbigliamento: devi curarlo in ogni sfaccettatura. Ricordo quando portammo Gerardina Trovato da Dolce e Gabbana per cercare di costruire il look adatto a quel personaggio.

Poi però decise di lasciare la discografia per la moda…Sì, fu quando Filippo e Caterina mi fecero ascoltare il provino di una giovane cantante emergente. Io coglievo in loro il fuoco dell’entusiasmo per aver trovato qualcosa di veramente importante, ma io proprio non lo coglievo. Ascoltavo questa sconosciuta di Monfalcone che cantava in inglese, ma non ne coglievo il potenziale. Era Elisa, ovviamente… Così capii che in tutti i mestieri, al di là della passione e dell’impegno, se davvero vuoi raggiungere l’eccellenza, devi avere un che di sensibilità in più che evidentemente a me in quell’ambito mancava. Dentro di me quella sera decisi che avrei fatto altro.

Quali sfide ha incontrato nel passare da manager a imprenditore?Sono due mestieri diversissimi. Entrambi affascinanti, ma da imprenditore le variabili di cui devi tener conto sono decisamente maggiori. Non tanto il rischio, di cui tutti parlano. Il rischio è solo una delle tante variabili, ma non è in realtà la componente più difficile. Anzitutto devi capire se te la senti di affrontare questo tipo di responsabilità oppure no. Una volta stabilito questo, che non è cosa da poco, devi saper giocare su fronti molteplici e avere la capacità di portare avanti un progetto a 360 gradi. Faccio un esempio. Metti che ti viene l’idea più bella del mondo: se sei un manager hai dall’alto indicazioni per procedere o meno. Se sei un imprenditore, indipendentemente del fatto che come manager tu sia convinto della validità dell’idea, devi saperti dire di no se valuti che per la tua impresa non sia il momento o non sia in linea. Certo fare l’imprenditore oggi è infinitamente più complesso che in passato. Spesso ho occasione di confrontarmi con colleghi più anziani e sono tutti d’accordo nell’affermare che le competenze tecniche richieste 20 anni fa erano molto meno sofisticate a parità di rischio, di coraggio e saggezza.

In cosa si sono complicate?Nella moda, per esempio, fino a 10 anni fa l’aspetto finanziario dell’impresa era sì da monitorare e tenere sotto controllo, ma non determinava la sopravvivenza dell’azienda stessa. Oggi, dopo la crisi del 2008, ci sono fior di imprese con progettualità interessanti che non sono più sul mercato perché non reggono dal punto di vista finanziario. Neanche una gestione sana ti può salvare perché spesso il problema è dimensionale. Ti scontri con meccanismi e logiche molto difficili. Una volta ci si metteva una vita ad avere un successo mondiale. Dopo 20 anni di lavoroforse riuscivi ad affermarti a livello planetario. Oggi conuna buona idea in cinque anni sei ben distribuito in tutto il globo. Questa grande accelerazione ti fa diventare in un baleno competitor di aziende di dimensioni importanti che si possono permettere forti budget pubblicitari, politiche distributive accuratissime e presentazione del prodotto eccellente. E tu che non hai tutti questi mezzi devi far fronte a un consumatore che comunque ti considera un competitor alla pari con il colosso. Questo stato di cose riduce il numero delle aziende sul mercato e favorisce realtà sempre più grandi. Vent’anni fa con un’azienda di 10 miliardi di lire a Milano facevi il “cumenda”. Oggi non bastano 10 milioni e secondo me ci sono soglie dimensionali molto preoccupanti: sotto i 50 milioni di euro oggi sei quasi un’aziendina da nulla.

Questa complessità si può almeno in parte risolvere con il dotarsi di buoni manager…Verissimo, ma di tutti gli aspetti del mio lavoro è la parte più complessa. Forse sono io a non essere un grande talent scout. Ogni tanto mi va bene e trovo persone validissime e ogni tanto sbaglio completamente. Capita spesso che la persona sia valida, ma non per me in quel momento. Comunque ho un unico criterio nella selezione: raramente metto al primo posto le qualità tecniche. Preferisco una persona che abbia buone qualità personali e umane, un buon carattere, perché la tecnica si impara, ma la grinta, l’entusiasmo, la capacità di non mollare, di essere leale con i colleghi, no. Tra un tecnico eccellente e un brav’uomo, scelgo tutta la vita un brav’uomo.

Lei è stato un professionista di wind-surf. Lo sport le ha insegnato il gioco di squadra o si definisce un battitore libero?No, il nostro è un grandissimo gioco di squadra e io delego moltissimo. Non credo ai padri padroni perché non credo ci siano tuttologi. Ritengo che il mio ruolo sia quello di dare argini entro i quali far muovere il fiume. Ma non ti devi identificare con questo “fiume”. Il fiume sono le persone che lavorano con te.

Bisogna poi assicurarsi che questo “fiume” scorra con vitalità e motivazione…Personalmente non ne ho bisogno, anzi, a volte è il mio team a motivare me e io mi limito a intervenire quando ne avverto la necessità. Quando per esempio vedo preoccupazione, cerco di rasserenarli, se è il caso. Se invece non è il caso, provo a trovare i correttivi per affrontare la situazione. E se c’è entusiasmo, magari smorzo i toni e cerco di mantenere i piedi per terra. Ma non sono un grande condottiero, mi definirei più un imprenditore “da codice civile”. Cerco di avere il buon senso del padre di famiglia, come dice la legge: “In mancanza di definizioni più dettagliate, usa il buon senso”. Questo funziona ed è più complesso di quanto si pensi. E il primo buon senso da avere è nei confronti di se stessi: ogni giorno ti scontri con i tuoi fantasmi, le tue ambizioni, i tuoi sogni e devi cercare l’equilibrio.

Qual è il segreto di un imprenditore di successo?Anzitutto il sostegno della famiglia. Senza l’appoggio molto forte di mia moglie e della famiglia non avrei potuto fare tutto quello che ho fatto. Io e mia moglie lavoriamo insieme e condividiamo da sempre stress, sconfitte e vittorie. Fondamentali sono poi le circostanze, che parzialmente ti crei e parzialmente accadono. Anche se mi sembra di poter dire, per esperienza, che l’occasione capita sempre, bisogna piuttosto essere lì pronti per coglierla. Una cosa che gli imprenditori fanno fatica ad ammettere sono gli errori. Quando impari a convivere con la sconfitta, e anche in questo senso il mio passato da sportivo professionista mi ha aiutato, lo sai. Nello sport non c’è paragone tra le volte in cui perdi e quelle in cui vinci: sono molte di più le prime. Imparare che ogni tanto sbagli, che ogni tanto non eri in forma, che potevi fare meglio, fa molto bene… anche per gli imprenditori.

Parlando di imprenditoria italiana, quali sono i punti deboli che scorge?Oggi il punto debole è la dimensione. Abbiamo avuto un sistema politico-economico che per anni non ha voluto la grande impresa in Italia. Al motto di piccolo è bello, si è andati avanti, e oggi questo diventa un ostacolo grandissimo. Nel mio settore i mercati interessanti sono Cina, India e Brasile e avere un’azienda in grado di esportare in questi posti non è semplice. Per alcuni anni sono stato presidente degli industriali tessili della provincia di Modena con tutto il distretto del carpigiano. Avevo 4 mila iscritti solo del comparto tessile, con molte aziende che contavano anche tre-cinque persone. Ma se allora potevano funzionare, oggi non esistono più.

In una tale contingenza, come si fa a far tornare la voglia di fare impresa nel nostro Paese?A fare impresa non ti insegna nessuno. Credo, infatti, che ci voglia un gene ad hoc per fare l’imprenditore. Sicuramente non puoi farlo per denaro. Può capitare che tu faccia molto denaro, ma non lo fai per denaro. Questo è un “gene” che ti permette di dormire anche nel momento più nero del mondo. Quando non ce l’hai, non riesci a riposare stante un carico di pressione enorme… E se è così è meglio che tu non faccia questo mestiere. Per tornare alla sua domanda, forse si potrebbe mostrare ai ragazzi che cosa fa veramente un imprenditore: l’amore, la passione che devi mettere in ogni progetto, le responsabilità che ti devi accollare. Tutti quelli che vogliono fare impresa passano prima dallo studio tecnico dei bilanci. Ma, se posso dire, questo non è il cuore del problema. È quanta anima, quanto cuore ci metti, che tu faccia bulloni, musica, giornali o moda. Quanto di te stesso sei in grado di mettere nel tuo progetto. Sai che sarai responsabile di altre persone che si affidano a te e ritengono che tu sia in grado di fare i conti? Se ai ragazzi venisse insegnato questo, forse sarebbe più facile.

Quale provvedimento a livello governativo auspicherebbe in questo senso?Non penso ci si debba mai aspettare qualcosa dall’alto. Io sono troppo individualista per aspettare che il sistema risolva il mio problema. Che bacchetta magica possono tirar fuori?

C’è chi afferma che il vero problema non siano le difficoltà oggettive nel fare impresa, ma il fatto che ci siamo un po’ seduti… Ebbene sì. È vero che ci vogliono infiniti permessi, carte bollate e quant’altro e che questo potrebbe essere semplificato e anche di molto. Ma il cuore del problema, in effetti, non è questo. La generazione dei nostri padri, nata a cavallo della guerra, con la voglia che aveva di ricostruire, ha posto le basi per un boom economico importante. Non avevano tempo per lamentarsi, anzi tutto era visto come un miracolo, dopo la fame e la miseria. E io, invece, devo dire che di coetanei lamentosi ne ho piene le scatole. E, in effetti, dov’è l’imprenditoria dei 40enni? Dove sono i miei colleghi? Chi c’è? Dove siamo noi cosiddetti “giovani”? Sono pochissimi gli imprenditori della mia età. O io non li vedo. Ci sono molti buoni manager, ma dove sono gli imprenditori tra i 40 e i 50 anni? A parte gli estemporanei, di gente seria che vuol fare veramente impresa, ne conosco pochissima. Tutti gli amici imprenditori che ho sono 60 o 70enni e mi trovo a parlare con loro.

LE PASSIONI DI ALFREDO CIONTI

LIBROL’Alchimista di Paulo Coelho

PROGRAMMA TV Trasmissioni di attualità e politica

LUOGO Tokyo

FILM Jesus Christ Superstar

HOBBY Chitarra acustica

SPORT Vela, sci, alpinismo

MUSICA Ivano Fossati e Lorenzo Jovanotti

SQUADRA Juventus

AUTO Citroën Ds Cabrio

Ci saranno però figure di imprenditori di successo da cui ha tratto ispirazione per la sua carriera…Onestamente non ho avuto grandi modelli. Certo ho conosciuto imprenditori che mi hanno segnato. L’ingegner Bombassei della Brembo, per esempio, è uno di questi. Questo tipo di persone le fiuto ormai a pelle, in tre secondi. Sono una razza a parte per cui alcune cose sono imprescindibili: l’autenticità, la parola data, il medio e lungo termine nei progetti, l’assunzione diretta di responsabilità. Mi è capitato di conoscere persone così, che magari non sono state fortunate, ma che mi hanno dato molto.

Come imprenditore qual è la sua più grande aspirazione?Condurre un’azienda sana ed essere ricordato come una persona per bene. Vorrei cercare di fare un’impresa al più lungo termine e di dare alle persone che lavorano con me la possibilità di lavorare e di impegnarsi, magari anche tanto, ma con qualità.

E come uomo?Ho l’ambizione di diventare saggio. Vorrei sapere in ogni istante della mia vita cosa è giusto e cosa è sbagliato. E non smetterò di provarci.

Esiste a suo parere una ricetta anti crisi?No. Un altro degli aspetti belli dell’imprenditoria è che ognuno di noi mette se stesso nella propria azienda e dà la propria risposta alla crisi. C’è chi la prende dal lato del marketing, chi dalla finanza, dall’industria o dal retail. Io personalmente sto mettendo insieme questa strana azienda che cerca di servire a valle più nicchie omogenee e tanti micro-mercati. E a monte di verticalizzare il processo come se si trattasse di un’unica macro produzione. Mi sono comprato la fabbrica e sono tornato a fare il mestiere antico. Ho messo insieme marchi di giubbotteria e marchi di pantaloni per avere un massa critica produttiva di un certo tipo. In questo modo siamo decisamente più flessibili, precisi e coerenti con i marchi e onestamente frazioniamo abbastanza il rischio. Inoltre, la quantità di attività che svolgiamo ci ha permesso di creare un paniere che in questo momento del mercato sta rispondendo bene.

Come ha risposto il settore Moda a questi anni di crisi? Cosa è cambiato e cosa dovrebbe cambiare?La moda ha seguito quello che si sta verificando in economia più in generale con un processo di forbice pazzesco in cui il mercato medio è stato totalmente spazzato. Le grandi catene di retailer sono arrivate con un impatto devastante sul mercato. La concorrenza si gioca sul prezzo e il consumatore non è stupido. È anche disposto a pagare di più ma devi giustificargli il valore aggiunto che gli chiedi. E in questa fetta di mercato più alta c’è pochissimo spazio: per 10 posti si lotta in 200, 190 non hanno ragione di esistere. Ed è una posizione che ti devi guadagnare ogni giorno. O che perdi ogni giorno. Il fatto è strutturale. Chi ancora pensa che sia la crisi, sbaglia. È così e sarà così. Nel mondo c’è una globalizzazione dei meccanismi economici, e la distribuzione del reddito sta cambiando anche in Europa. La classe media diventa sempre più povera e pochi sempre più ricchi. È un processo ad oggi irreversibile, determinato dal mercato del lavoro, immobiliare e dei prodotti. Di qui a 10 anni ipotizzo quindi un’economia più simile a quella degli Stati Uniti. Una volta preso atto di questo, ognuno risponderà a suo modo.

Il Gruppo Cionti srl

Il Gruppo Cionti è una società attiva nella produzione e distribuzione di abbigliamento sportswear con un modello di business integrato e un portafoglio diversificato di brand in licenza dalla forte riconoscibilità. L’azienda raccoglie due importanti eredità, Belfe e Avirex, e presenta tre rami di attività: • produzione e distribuzione in licenza di Avirex, Belfe, Post Card, Mabitex, Mover in Italia e all’estero;• produzione e service di stile e prodotto per linee sportswear/tempo libero di marchi del lusso; • retail a gestione diretta di negozi monomarca partendo dalla base degli attuali 11 punti vendita, ai quali si aggiungono due outlet a gestione diretta. Quattro le sedi: due in Italia a Molina di Malo e a Milano, poi in Bulgaria e a New York.

Credits Images:

Alfredo Cionti nello spazio dedicato al marchio Post Card dello Showroom di Milano. Post Card, di cui il gruppo gestisce la licenza mondiale per produzione e distribuzione, è un marchio nato in casa Belfe che propone capi per una donna dall’indole sportiva che ama essere impeccabile anche nelle attività dedicate al tempo libero