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Bartorelli: una preziosa tradizione
Per farsi largo in un mercato sempre più polarizzato, la strategia è puntare sull’innovazione nella qualità e nel servizio. È la strada tracciata da Carlo Bartorelli, patron delle omonime gioiellerie, che sbarcano a Bologna, inaugurando – dopo oltre 135 anni di storia – una nuova fase di sviluppo
Una lunga tradizione, iniziata nel 1882, vendendo piccoli gioielli in oro nell’entroterra romagnolo: oggi la terza generazione della famiglia Bartorelli guida un gruppo con sei punti vendita e un fatturato di 48 milioni di euro, affiancando ai più prestigiosi marchi del lusso una preziosa collezione di alta gioielleria griffata Bartorelli Maison. Dopo un lungo percorso improntato nel seguire e servire al meglio una clientela di alto profilo nelle località turistiche italiane più ambite (partendo da Riccione ed espandendosi a Milano Marittima, Pesaro, Cortina d’Ampezzo e Forte dei Marmi), la strategia per il 2019 e il 2020 è focalizzata sul consolidamento del gruppo, con lo sbarco in una delle “capitali” italiane: Bologna. Proprio quest’ultima apertura sembra voler rimettere tutto in discussione e inaugurare una nuova fase di crescita. Come? Lo abbiamo chiesto a Carlo Bartorelli, presidente e amministratore delegato, che guida l’azienda insieme alla famiglia e a 40 dipendenti.
A Bologna c’è turismo di lusso?Abbiamo aperto nella centralissima Galleria Cavour dove sono già presenti marchi come Gucci, Louis Vuitton, Prada ed Hermès, ma è vero: se fino a ieri eravamo solo in località di villeggiatura di alto profilo e tradizione per servire un pubblico di turisti alto spendenti, da oggi siamo anche in una grande città italiana, per ampliare e consolidare una clientela cittadina. In ogni caso, i clienti vanno seguiti tutto l’anno, anche quando sono a casa e non solo in villeggiatura. Il servizio che caratterizza il nostro gruppo è sicuramente uno dei punti di forza.
Come se la passa il settore della gioielleria?Purtroppo, attraversa un momento di stanchezza e ci sono meno attori: i più piccoli chiudono, mentre sopravvive solo chi ha spalle forti o punta a un segmento esclusivo. Sono un imprenditore dall’approccio positivo, perciò interpreto questo momento del nostro settore come un’occasione di crescita. A Bologna, se escludiamo i grandi nomi, non c’è vera innovazione di prodotto, mentre la nostra linea firmata e personalizzata, di cui si occupa principalmente mia moglie Emanuela, fa della ricerca e dell’innovazione il suo punto di forza. Se la creatività e l’offerta dei concorrenti scarseggiano, aumentano le opportunità per chi ha in vetrina prodotti innovativi.
Va meglio l’orologeria?Questo mercato vale per noi più della metà del fatturato, ma negli ultimi quattro anni la gioielleria sta recuperando quote e il rapporto tra le due categorie potrebbe presto ribaltarsi, in termini di risultati. L’orologio, tuttavia, per noi resterà sempre di primaria importanza, oltre che una grande passione. In questo campo, prevedo che prossimamente ci saranno meno concorrenti, con numeri più contenuti ma con marginalità superiore. In breve, meno clienti ma più importanti.
Perché Bologna e non Milano o Roma?Siamo già presenti a Milano dal 2015 all’interno della boutique di riferimento del quadrilatero, Gio Moretti, e otteniamo quotidianamente ottimi risultati sia in termini di vendite che di gradimento del prodotto griffato Bartorelli Maison. Per il grande passo con una boutique importante, abbiamo scelto Bologna non solo perché sta vivendo un momento vivace, con l’aeroporto che fa registrare circa 9 milioni di passeggeri all’anno e una sempre più intensa attività congressuale, ma anche perché è la città su cui gravita la nostra zona di pertinenza. Però non escludo altre aperture, aspettiamo di vedere dove va questa Italia: siamo degli eroi noi, che non smettiamo di crederci.
Molte aziende italiane crescono solo all’estero, potrebbe funzionare per Bartorelli?Ho tre figli: Federica di 33 anni, Marco di 30 e Alessandro di 24. Se non sarò io ad aprire all’estero, di sicuro potranno farlo loro, così come potranno realizzare qualsiasi altro sogno: il futuro è nella nuova generazione.
Gioielli e orologi preziosi si vendono bene anche online?Siamo stati i primi retailer in Italia a vendere online i prodotti del gruppo Richmont, ovvero Cartier, Panerai e Vacheron Constantin, per citare solo alcuni dei brand più conosciuti. Però il peso dell’e-commerce sul totale è minimo, perché gioielli e orologi si vendono meglio in negozio. L’e-commerce ha una soglia di prezzo: l’acquisto di oggetti preziosi funziona su internet fino a 5 mila euro, ma quando il costo inizia a salire e l’oggetto diventa più importante è necessario instaurare un rapporto personale, creare empatia, trasmettere conoscenza, professionalità e offrire un servizio dedicato, guardandosi negli occhi. Non escludo, però, che in futuro le cose possano cambiare.
È arrivato il 4.0 nel vostro settore?Il digitale è arrivato in tutte le fasi di progettazione, con applicazioni molto innovative che permettono di disegnare i preziosi al computer, potendo sfruttare così un livello di personalizzazione prima impensabile: facciamo così con tutte le nostre creazioni di alta gioielleria griffate Bartorelli Rare and Unique.
Chi è l’acquirente tipo oggi in Italia?Non c’è più una via di mezzo e, quindi, anche chi vende si deve spostare su una delle due sponde: lusso o bigiotteria, negozi esclusivi oppure outlet. I big del settore vendono bene, mentre il piccolo negozio tradizionale – con target meno selezionato e prodotti generalisti – sta soffrendo molto e spesso viene spazzato via dagli outlet. La strategia? Puntare sull’alto di gamma. Anche durante i periodi più difficili, per crescere bisogna investire, aprire nuovi punti vendita, innovare i prodotti e tendere all’eccellenza nella qualità e nel servizio. È quello che cerco di fare come imprenditore e come uomo.
Come si arriva da zero a sei negozi?Ci sono voluti oltre 135 anni. Ha cominciato il mio bisnonno nel 1882 con una piccola bottega. Poi negli anni ‘50 mio padre e suo fratello hanno aperto prima a Cattolica e poi a Riccione. Ai tempi l’oro si comprava a chili: i rappresentanti arrivavano con le valigie e mio padre ne acquistava diversi chili per realizzare le collanine da vendere ai tedeschi in vacanza al mare. Quando sono entrato in azienda, ho spinto perché facessimo un salto di qualità, sia in termini di offerta che di dimensione. Ed è quello che continuo a fare quotidianamente.