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Investimenti su misura: come mettere a frutto i propri risparmi
Da Business People una guida ragionata per disporre al meglio del proprio denaro
Dove mettere la liquidità in eccesso? Già, a tutti piace avere i soldi sul proprio conto: ci dà un senso di capacità di spesa e, quindi, di maggiore sicurezza rispetto a quando vincoliamo i nostri capitali su investimenti di più lungo periodo. Che sia così, lo dicono anche i numeri di Bankitalia aggiornati a fine 2017: nonostante la maggior parte della ricchezza degli italiani sia ancora nell’immobiliare (6.300 miliardi di euro), negli ultimi dieci anni è cresciuta anche la parte finanziaria a 4.400 miliardi di euro, di cui il 31% (poco più di 1.360 miliardi) in depositi bancari. Ma tenere tutti i soldi fermi in banca in genere non conviene, soprattutto nell’era dei tassi a zero. Resteranno al tappeto fino a fine 2019, come ha annunciato a maggio la Bce che è disposta a prolungare questo periodo almeno fino a quando non raggiungerà stabilmente gli obiettivi d’inflazione al 2% (a fine aprile era all’1,7%). Se poi l’inflazione aumenta sul serio, non aver investito il denaro significa perdere i propri risparmi. Dunque, dove guardare? Le alternative non mancano, anche perché da dieci anni l’industria dell’asset management è diventata un interlocutore sempre più richiesto non solo dai privati ma anche dalle aziende. Business People, dopo aver sentito alcuni esperti del settore, ha riassunto otto idee per impiegare la liquidità.
Sono l’alter ego dei conti deposito. Questi fondi consentono di parcheggiare la liquidità in eccesso con un rischio basso, perché investono esclusivamente in titoli di natura monetaria, come obbligazioni e titoli di Stato a breve termine (Bot, Ctz e analoghi) e pronti contro termine. Sono molto diffusi in Francia e nel Regno Unito, dove i tesorieri delle aziende utilizzano quasi esclusivamente fondi monetari che investono in titoli con rating a tripla A rispetto ai depositi e ad altri strumenti. In genere i rendimenti sono inferiori rispetto ai quelli dei fondi obbligazionari e vicini allo zero con i tassi al tappeto nell’Eurozona. I costi di gestione sono molto contenuti.
Sono strumenti adatti agli investitori con un orizzonte d’investimento di breve periodo e rappresentano uno strumento prezioso da considerare come alternativa ai fondi monetari. In questo caso, tuttavia, è meglio dare un’occhiata alle commissioni, che sono leggermente più elevate e rischiano quindi di mangiare i ritorni, già magri in periodi di tassi bassi. Questi fondi possono investire in titoli governativi denominati in euro, in genere di breve termine, ma anche in covered e corporate bond con scadenze tra 1 e 3 anni. Alcuni gestori adottano strategie più opportunistiche e non vincolate, per ottenere rendimenti più interessanti, includendo nel portafoglio anche obbligazioni ad alto rendimento, prodotti cartolarizzati e bond convertibili. Questi approcci, tuttavia, comportano maggiori rischi per gli investitori.
Sono stati per molti anni l’investimento privilegiato dagli italiani, non a caso battezzati come Bot people, anche se negli ultimi anni si è ridotta la percentuale delle famiglie esposta ai titoli di Stato. I rendimenti, infatti, da quando la Bce ha abbassato i tassi, sono molto magri. I titoli della zona euro sono tutti Investment Grade, sono cioè meno rischiosi, anche se è bene ricordare che non è impossibile che uno Stato fallisca. Nell’Eurozona, quelli che rendono di più sono i governativi del Sud Europa, tra cui gli italiani. Si può investire direttamente in questi strumenti costruendo un portafoglio di obbligazioni o tramite strumenti di risparmio gestito, fondi comuni o gestioni patrimoniali. In tutti i casi è sempre consigliabile considerare le fee, che possono incidere a fine anno sui rendimenti. Un vantaggio non da poco per l’investitore italiano è quello fiscale: Bot, Btp, Ctz e Cct sono tassati al 12,5%, un’aliquota applicata anche alle obbligazioni dei titoli pubblici territoriali (come regioni, province e comuni) e ai bond di Stato esteri e territoriali inseriti nella white list e quelli degli organismi internazionali.
Questi fondi adottano strategie utilizzate dagli hedge fund, anche se con limiti imposti dalle regole europee del settore, come la tecnica della vendita allo scoperto dei titoli o arbitraggi tra titoli, e possono mettere in portafoglio strumenti anche diversi dalle azioni e dalle obbligazioni, come derivati e valute. Il loro obiettivo è contenere la volatilità e ottenere un rendimento positivo in ogni fase di mercato, anche se non sempre ci riescono. Rispetto ai fondi comuni tradizionali, non hanno indici di mercato di riferimento (ad esempio il Ftse Mib per l’azionario Italia), e lasciano quindi ampia libertà al gestore. Di conseguenza, sono prodotti da maneggiare con prudenza, che possono aiutare a contenere le perdite in momenti di crisi. Con questi strumenti si possono ottenere rendimenti superiori rispetto a quelli dei fondi obbligazionari, ma i rischi che assume un investitore ovviamente sono anch’essi superiori, e in genere è consigliato a chi ha una prospettiva di investimento oltre i 3 anni. I costi, di solito, sono superiori a quelli dei fondi obbligazionari.
Sono fondi che investono in azioni e in obbligazioni. La parte azionaria, più rischiosa, a seconda del profilo di rischio, può andare dal 10 al 90% del portafoglio e varia da fondo a fondo. Grazie alla parte equity, in genere internazionale e ben diversificata, sono in grado di ottenere rendimenti superiori ai fondi obbligazionari, ma sono anche più volatili e in genere adatti a chi ha un orizzonte di investimento di medio termine (3-5 anni). Anche in questo caso i costi sono superiori a quelli dei fondi obbligazionari.
I fondi bilanciati hanno benchmark di riferimento e limiti precisi per gli investimenti in obbligazioni e in azioni. Non vanno confusi con i fondi flessibili, che non hanno benchmark: il gestore, quindi, può a sua discrezione investire in azioni dallo zero al 100% del portafoglio. Negli ultimi anni, soprattutto in Italia, i fondi flessibili hanno assunto la forma di fondi a scadenza con la cedola: sono prodotti di medio termine con un flusso cedolare. Ma attenzione: in alcuni casi la cedola ha un importo variabile legato al rendimento del fondo; in altri è fissa e può essere non prodotta dagli interessi, ma attingendo al capitale. Le commissioni, inoltre, possono essere elevate e in alcuni casi superiori al 2%.
Il metallo giallo è il bene di rifugio per eccellenza, quando le cose sui mercati si mettono male. Si può investire in oro fisico, comprando in banca monete e lingotti, o tramite strumenti finanziari. Se si sceglie l’oro finanziario, esistono quattro modi per farlo: tramite Etc o Etf sull’oro; con i futures sull’oro, con le opzioni o comprando azioni di società minerarie. In tutti i casi è sempre meglio farsi consigliare da un professionista. Per i più pessimisti, che temono l’Italexit e una nuova crisi dell’Eurozona, un’altra opzione per proteggersi in un contesto di mercato complesso è quella di puntare su valute forti alternative all’euro, come i dollari Usa e soprattutto franchi svizzeri, corone norvegesi e yen giapponesi. Un piccolo giardinetto valutario potrebbe rivelarsi, infatti, un porto sicuro, in caso di turbolenze sull’area euro, per difendere i risparmi e spuntare magari anche guadagni.
È una soluzione disponibile sul web anche in Italia negli ultimi anni. Queste piattaforme sono in grado di costruire in modo automatico, sulla base delle risposte date dai clienti ad alcune domande su obiettivi di investimento, conoscenza degli strumenti finanziari e attitudine al rischio, un portafoglio diversificato di Etf azionari e obbligazionari, fondi comuni quotati a basso costo. I costi rispetto all’investimento in fondi in banca o tramite il consulente finanziario possono essere inferiori. Quanto ai rendimenti e ai rischi, sono assimilabili a quelli di un investimento in un fondo bilanciato.
Articolo pubblicato su Business People, luglio 2019
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