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Leonardo Da Vinci: un genio dedito al lavoro

Multidisciplinare già in epoca rinascimentale, a 500 anni dalla sua morte da Vinci rappresenta ancora oggi il genio per antonomasia. Ma guai ad attribuire i suoi successi a una mente superdotata, con capacità di elaborazione inconcepibili per noi comuni mortali: la sua fu un’affermazione personale basata sul duro lavoro, mossa da una passione ossessiva per la conoscenza

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Multidisciplinare già in epoca rinascimentale, a 500 anni dalla sua morte da Vinci rappresenta ancora oggi il genio per antonomasia. Ma guai ad attribuire i suoi successi a una mente superdotata, con capacità di elaborazione inconcepibili per noi comuni mortali: la sua fu un’affermazione personale basata sul duro lavoro, mossa da una passione ossessiva per la conoscenza.

Un genio. Anzi, meglio, l’incarnazione del genio creativo per eccellenza. A ben 500 anni dalla sua morte, Leonardo da Vinci rappresenta ancora oggi la personificazione somma della capacità di stabilire connessioni tra le varie discipline. Curioso ai limiti del fanatismo, spesso (a ragione) accusato di incostanza, fu in realtà la sua passione ossessiva per la conoscenza a fare di lui un vero e proprio “uomo-brand” ante litteram. Studiò a fondo anatomia, fossili, uccelli, cuore e circolazione del sangue, macchine volanti e botanica, passando per la geologia, l’idraulica e le armi. E si distinse per la capacità di mettere le conoscenze scientifiche a servizio dell’arte ed entrambe a servizio della passione che lo spingeva, ossia, come sottolinea Walter Isaacson nella sua biografia: «quella di conoscere semplicemente tutto ciò che c’era da conoscere sul mondo, compreso il ruolo degli uomini al suo interno».

Alla base del successo di Leonardo

Poliedrico e multitasking già in epoca rinascimentale, unendo lavoro scientifico e immaginazione raggiunse vette ineguagliate, anticipando di molto i suoi successori. Al punto che un artista di spicco del ‘900 come Paul Klee si ritrovò ad ammettere: «Veduto Leonardo non si pensa più alla possibilità di fare molti progressi». Genio universalmente riconosciuto, dunque. Anzi, addirittura incarnazione del genio per antonomasia dicevamo. Eppure dobbiamo fare grande attenzione quando gli attribuiamo questa “etichetta”. Il rischio, infatti, è di collocarlo su un piedistallo e sentirlo lontano. Invece Leonardo fu un genio profondamente umano, che costruì il suo mito con il duro lavoro e, oltre a tanti ineguagliabili successi, collezionò anche molti errori. Basti pensare al caso emblematico de La battaglia di Anghiari, opera commissionatogli nel 1504 per una sala del Palazzo Vecchio a Firenze. Per non piegarsi ai tempi brevi richiesti dall’affresco, decise utilizzare una nuova tecnica di pittura murale che prevedeva l’uso di un impasto di materiali. Pessima scelta. Dopo un’intera notte passata con i suoi servitori a cercare di far asciugare i colori con le fiaccole, dovette riconoscere il fallimento dei suoi disperati tentativi vedendo l’affresco sciogliersi dinanzi ai suoi occhi. Guai, dunque, ad attribuirgli una mente superdotata, con capacità di elaborazione superiori, inconcepibili per noi comuni mortali. La sua fu un’affermazione personale fatta di volontà e ambizione, basata su qualità come l’impegno, l’osservazione attenta e la curiosità. Abilità che noi stessi possiamo coltivare, anche se difficilmente potremo mai aspirare a raggiungere le sue stesse vette perché, come ha osservato lo storico dell’arte Kenneth Clark: «Non c’è nella storia curiosità più insaziabile della sua».

L’infanzia di Leonardo da Vinci

Figlio illegittimo, benché cresciuto dalla famigli benestante del padre, non ebbe un’educazione classica, quasi non andò a scuola e, come lui spesso precisava, era a stento in grado di leggere il latino e fare lunghe divisioni. E fu probabilmente questa la sua grande fortuna. Insieme, bisogna ricordarlo, al momento storico (e alla posizione geografica) particolarmente felice in cui si trovò a vivere. Perché se è vero che la natura stessa di Leonardo costituisce le fondamenta su cui si erge la sua grandezza, fu una fortunata serie di coincidenze a permettergli di diventare il “mostro sacro” che oggi tutti noi ancora osanniamo. Partendo dal primo punto, sembrerà strano, ma nascere fuori dal matrimonio giocò a suo favore. Lo salvò, infatti, dalla carriera notarile, cui da cinque generazioni almeno erano destinati i primogeniti della sua famiglia. Carriera che sarebbe risultata estremamente inadatta per la sua mente fervida e incostante. Al contrario, lo status di illegittimo, benché di buona famiglia, gli “risparmiò” una formazione dogmatica tradizionale, lasciandogli – al di là di una infarinatura di matematica commerciale in una cosiddetta “scuola di abaco” – la libertà di dedicarsi, da autodidatta, a tentare di soddisfare la propria curiosità e di essere, come lui stesso si definiva, un «discepolo dell’esperienza». E non va sottovalutato nemmeno il contesto storico e geografico in cui crebbe e si formò come uomo adulto. Si può a ben diritto osservare, infatti, che pochi luoghi nella storia umana siano mai stati tanto stimolanti sul fronte creativo quanto la Firenze del ‘400, in cui si sviluppò un sistema che combinava arte, tecnologia e commercio. Nessun’altra città poteva dunque rivelarsi più congeniale di quella al giovane Leonardo, che dopo la morte dell’amato nonno Antonio, avvenuta nel 1464, vi raggiunse il padre, che all’età di circa 14 anni gli procurò un apprendistato presso uno dei suoi clienti: Andrea del Verrocchio. Qui, un rigoroso programma di insegnamento comprendeva l’anatomia di superficie, la meccanica, le tecniche di disegno e gli effetti della luce e dell’ombra sui materiali. Tutte conoscenze fondamentali per gli studi e i lavori di da Vinci, che trovò in Verrocchio un maestro ideale. E in quegli anni si trovò inoltre a collaborare con molti giovani pittori divenuti grandi maestri, come Sandro Botticelli, Perugino, Domenico Ghirlandaio e Lorenzo di Credi. Un vero concentrato di talento artistico.

I misteri di Leonardo da Vinci

Descritto dai più come un uomo affascinante, con fluenti riccioli biondi, corporatura muscolosa ed elegante, grande affabulatore ed estremamente gentile, Leonardo era però spesso anche tetro, crucciato, maniacale: i suoi taccuini, su cui era solito appuntare qualsiasi cosa, rappresentano un’interessantissima finestra aperta sulla sua mente febbrile e instancabile, sui dubbi e le difficoltà, le stranezze e gli sbalzi d’umore tanto quando sui colpi di genio. Eppure, riconoscerne l’umanità non sminuisce affatto la sua grandezza. Anzi, proprio la sua singolare personalità, la poliedricità dei suoi interessi e alcune piccole manie hanno concorso a stimolare la curiosità in merito al personaggio e ad avvolgere il suo nome in un alone di mistero. Dai metodi con cui conduceva le indagini anatomiche all’abbigliamento insolito, passando dalla scrittura speculare, fino all’abitudine di inventare frasi in codice, anagrammi e rebus, sono molti i particolari che hanno contribuito a generare il suo mito. A tutto ciò va aggiunta la molteplicità delle materie cui si interessò e l’incostanza che contraddistingueva le sue attività: lasciò incompiuti molti dei suo dipinti, inoltre la gran parte dei suoi scritti è scomparsa. Quanto ci rimane è costituito da annotazioni non sistematiche, spesso da lui riunite senza nesso logico. Alla luce di tutti questi elementi non sorprende quanto possa risultare ancora oggi affascinante la sua figura e quanto poco ancora si sappia e si potrà mai sapere di lui. Insomma, come scrisse il critico d’arte del New Yorker Adam Gopnik: «Leonardo rimane misterioso, incomparabilmente misterioso, e non c’è niente da fare».

*Articolo tratto dallo speciale dedicato per i 500 anni dalla morte di Leonardo, pubblicato su Business People gennaio-febbraio

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