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Sveglia! Ci stiamo giocando l’app economy
Nel mondo, il giro d’affari delle applicazioni si aggira già sui 1.300 miliardi di dollari (valore destinato a salire in modo esponenziale). In Italia, invece, questo settore stenta a decollare e non si riesce a capire perché. O forse sì…
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L’app economy spesso sale alla ribalta popolare solo quando qualche intuizione geniale si trasforma in una montagna di dollari. È accaduto così quando lo sconosciuto Ben Pasternak è diventato milionario grazie all’applicazione Flogg, una via di mezzo tra eBay e Tinder per aiutare gli adolescenti a sbarazzarsi delle cose che non vogliono più. Nell’antologia dei baby Paperoni non c’è solo il ragazzo australiano, la lista contempla anche Nick D’Aloisio, che con la start up Summly era già pronto per andare in pensione a 17 anni. E la fortuna ha baciato anche Christian Sarcuni, ideatore di PizzaBo: la sua app di e-commerce ha permesso al giovane lucano di incassare 50 milioni di euro quando non aveva ancora trent’anni. Questi casi di successo, a dire il vero, sono pochi, pochissimi se si considera che in circolazione ci sono milioni di applicazioni per cellulari. Stando ai recenti dati di Appfigures, che si riferiscono alla fine del 2017, si contano ben 3,6 milioni di app sul Play Store Android e 2,2 milioni sullo store di Apple. Considerando che alcune sono presenti su entrambe le piattaforme, il numero finale si aggira intorno ai 4,8 milioni. Una cifra enorme. Viene, dunque, da chiedersi se una tale gigantesca quantità sia giustificata da un business altrettanto solido.
A fotografare con estrema precisione il fenomeno è l’ultimo report di App Annie che, facendo riferimento ai dati cumulativi dell’anno passato, ha certificato un’impressionate boom di questo comparto industriale. Secondo la società di analisi americana, i download complessivi sono stati ben 175 miliardi, generando un profitto di 86 miliardi di dollari. Il boom si capisce meglio prendendo in esame i dati d’incremento: +60% di download e +105% di guadagni rispetto al 2015. Confrontando altri studi analoghi, come quello di Sensor Tower, i numeri di App Annie sono decisamente più consistenti perché tengono conto anche degli store non ufficiali, come quelli che caratterizzano il mercato cinese. La crescita è comunque evidente in tutti i report e non è un fuoco di paglia visto che per i prossimi anni le stime sono viste al rialzo. Sempre stando alle previsioni di App Annie, l’intera economia delle app – sommando quelle a pagamento, la pubblicità e gli acquisti mobile – vale oggi 1.300 miliardi di dollari, che saliranno a 6.300 miliardi entro il 2021. Prendendo per buono questo valore, stiamo parlando di una cifra che supera il pil di Paesi come Italia, Germania, Regno Unito e Giappone. D’altra parte, due elementi sono inconfutabili: aumenterà il numero di dispositivi in circolazione e il tempo di utilizzo. La diffusione degli smartphone, che nel 2020 secondo Statista dovrebbero arrivare a 2,87 miliardi di unità, continuerà a essere trainante, dato lo scarso successo delle app desktop, mentre si prevede che debba passare ancora tempo prima che smart tv e altri dispositivi acquistino un peso significativo. Sconcertante anche il tempo che passeremo a smanettare sui touchscreen: App Annie nella sua analisi prevede che nel 2021 saranno 3,5 trilioni le ore che trascorreremo a interagire con le applicazioni digitali (nel 2016 le ore erano 1,6 trilioni). Sul fronte dell’occupazione poi, secondo Progressive Policy, l’app economy ha creato 1 milione e 640 mila posti di lavoro in Europa in meno di un decennio, di cui 529 mila diretti (sviluppatori software per la gran parte), e 1,73 milioni negli Stati Uniti. L’impatto dell’impiego delle app va però anche oltre la mera monetizzazione diretta, basti pensare alle applicazioni per home banking, che hanno permesso alle banche notevoli riduzioni dei costi per i servizi nelle filiali.
Sembra quindi che questa economia sia un paradigma solido, in salute, e in robusta ascesa. Sembra. Secondo molti analisti, in verità, si tratta sì di un business generoso, ma appannaggio di pochi grandi player. A fronte di poche migliaia di applicazioni di successo, ce ne sono milioni che gravitano in uno spazio oscuro. Stando a una recente indagine di Forbes Usa, il guadagno medio per una app per Android è di appena 1.125 dollari, va meglio su iOS dove la cifra arriva a 4 mila. Stiamo parlando però di guadagni medi totalmente insignificanti considerando i costi di sviluppo. La grande maggioranza delle applicazioni in circolazione è in profondo rosso. Questa situazione è tanto più tragica pensando a ciò che accade nel nostro Paese. «L’economia delle app offre grandi opportunità di creazione di nuove iniziative imprenditoriali e, conseguentemente, di nuova occupazione. Purtroppo questo sviluppo è ostacolato da una congerie di normative nazionali e locali che, limitando l’accesso al mercato, difendono gli operatori tradizionali e danneggiano i consumatori», sostiene Maria Vittoria La Rosa, che ha redatto una recente indagine per l’Istituto Bruno Leoni dal titolo App economy e barriere all’ingresso del mercato. La farraginosa situazione legislativa italiana è cosa nota, e non fa che aumentare il divario tra utenti e mercato del lavoro. «L’app economy, intesa come utilizzo da parte degli italiani delle vasto mondo delle app, è assolutamente in salute: è il mondo di Spotify, Just Eat, TheFork, Uber, MyTaxi, Blablacar e moltissimi giochi fruibili via mobile, sempre più utilizzati nella vita quotidiana dagli italiani che, lato utenti, costituiscono un mercato importante, con numeri significativi», dice a Business People Andrea Rangone, Ceo di Digital360, gruppo che offre servizi per la trasformazione digitale e innovazione d’impresa. «In chiave imprenditoriale, il mondo si presenta variegato. I grandi numeri sono appannaggio di pochi “big”: chi riesce davvero a fare soldi sono grandi operatori globali o regionali, che spesso si sono presi la leadership nella loro categoria, spazzando via i competitor e diventando quasi monopolisti. Nulla di diverso da quanto successo nel mondo web qualche decina di anni fa. Per il resto, i volumi restano principalmente limitati, la mortalità è alta, il turnover elevato, ma a mio avviso gli spazi di imprenditorialità in Italia nel mondo app ci sono, esistono esperienze redditizie basate su prodotti di successo: come sempre, fondamentale resta l’idea e il modello di business per realizzarla».
In effetti casi vincenti sotto la bandiera tricolore ci sono, è sufficiente ricordare quelli di AroundMe sviluppata da Marco Piefferi, Qurami di Roberto Macina, AppsBuilder di Daniele Pelleri e Luigi Giglio, ma anche il recente lancio di Lavadì, l’app messa in piedi da Luca Bignone che vuole rivoluzionare il mondo delle lavanderie. Sono esempi che rappresentano, però, solo la punta affilata di un iceberg decisamente sommerso. Nella Penisola le competenze non mancano con oltre 260 mila sviluppatori registrati su piattaforma iOS e nuove figure si stanno formando anche in centri di eccellenza come quello che Apple ha aperto a Napoli, però la burocrazia, la mancanza di investimenti e soprattutto di visione strategica, non permettono al comparto di decollare. «L’app economy si è sviluppata e rappresenta una realtà importante anche in Italia: negli ultimi anni però si assiste a una razionalizzazione del mercato, frutto di una maturità del settore e della crescente consapevolezza di sviluppatori e imprese dopo il “boom”, anche per effetto moda, dei primi tempi», sostiene Marta Valsecchi, direttore dell’Osservatorio Mobile B2c Strategy del Politecnico di Milano. «In generale, non si nota un ritardo italiano dal punto di vista delle competenze nello sviluppo, e in termini di design e creatività dimostriamo di poter competere. Semmai l’Italia sconta la difficoltà nello sfidare operatori globali con maggiore accesso ai fondi nei necessari investimenti in marketing per la promozione delle applicazioni», precisa Valsecchi. Insomma, a dieci anni esatti dal lancio dell’App Store, era il 10 luglio 2008, si comprende bene come il mondo sia sensibilmente cambiato proprio grazie alla diffusione degli smartphone e alla spinta innovatrice legata all’app economy, ma analogamente si evince come per rimanere della partita è necessario “pesare” sia giocando la carta della creatività, sia mettendo sul piatto capitali sufficientemente credibili. Un treno che l’Italia non può assolutamente perdere.
Credits Images:© iStockPhoto/hocus-focus
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