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Il lusso di darsi tempo
Quello necessario per progettare e realizzare una bicicletta personalizzata al 100%, un pezzo unico funzionale, ma soprattutto bellissimo. Così Helio Ascari, nipote della leggenda della Formula 1, ha trasformato in un business di culto quanto imparato nel corso di un’infanzia difficile e della sua carriera da modello
Quando di cognome fai Ascari e sei il pronipote di una leggenda della Formula 1 (quell’Alberto, talento infinito, morto durante una prova a Monza, nel 1955), forse è inevitabile che nel tuo destino ci siano le ruote. Ma non quattro: due, come quelle di una bicicletta, che a Helio Ascari, ex modello di successo, sono bastate per essere felice e andare lontano. A New York, per esempio, dove ha fondato la Ascari Bycicles, una piccola azienda di culto che costruisce biciclette di lusso, per le quali c’è una lista d’attesa di un anno. A Business People ha raccontato la sua storia. Quella di un uomo che dalla vita, nonostante le apparenze, non ha avuto sconti, ma la sua fortuna se l’è costruita pezzo per pezzo. Come una bicicletta.
Facciamo finta che la sua vita sia un film. Se questo è il secondo tempo, dov’era e cosa faceva nel primo?Ero a Sao Marcos, un piccolo paesino del Sud del Brasile, dove sono nato e cresciuto; 15 mila anime, molte delle quali di origine tedesca o italiana. Casa mia era piena di oggetti antichi, di legno e di ferro. In buona parte, erano attrezzi che servivano a lavorare nei campi ma per me erano oggetti misteriosi, molto affascinanti. Mi chiedevo a cosa servissero, come fossero fatti. Quel tipo di curiosità non mi ha più abbandonato.
L’amore per la bicicletta risale a questo periodo?Sì, era l’85 e io avevo sette anni quando, in cantina, trovai una vecchia Pinarello. Caso volle che l’unica officina del Paese per la riparazione delle biciclette si trovasse di fronte a casa mia. Il meccanico mi prestò gli attrezzi e m’insegnò a usarli. Ci lavorai otto mesi, ma alla fine quella bici era come nuova. Era splendida davvero. Ma, nemmeno una settimana dopo che l’avevo rimessa in strada, un ragazzo del posto mi fece un’offerta e io, che di soldi non ne avevo, gliela vendetti per aiutare mia madre. Quella bicicletta è sempre dentro di me. Credo sia nato tutto da lì.
Non un’infanzia semplice, la sua.Per una serie di casi poco fortunati, ho dovuto cominciare a lavorare subito. Sono entrato in fabbrica che avevo 10 anni. Era una fabbrica di mobili e io costruivo letti di ferro. Col tempo imparai a utilizzare anche il legno. Quando non lavoravo, riparavo oggetti: auto, radio, mobili. Alcune cose le aggiustavo per curiosità, altre per guadagnarci qualcosa. E intanto avevo compiuto 14 anni e mi chiedevo perché i miei coetanei avessero tanto tempo libero mentre io dovevo darmi da fare. Non era invidia. Cercavo solo di capire che senso avesse quello che facevo. Lo avrei capito dopo, nel “secondo tempo”.
Ecco, come ci si arriva? Cosa c’è tra la fabbrica di mobili e le sfilate di moda?Una serie di eventi dolorosi. Quando avevo 20 anni, persi mio padre; poco dopo io stesso rischiai di morire in un incidente e di perdere le mani: mi misero decine di punti intorno alle dita e 47 punti in testa. Infine, mi lasciò anche la mia ragazza. Nel giro di un mese avevo perso tutto. A quel punto decisi di andarmene a Rio.
Da un paesino a una megalopoli, un salto mica da ridere.Il terzo giorno che ero lì, mi notò uno scout che lavorava per l’agenzia Elite. Fu lui a propormi di fare il modello. Ricordo che con la paga del mio primo giorno di lavoro, mi comprai un forno a microonde, che prima non mi sarei potuto permette re neppure con la busta paga di un mese. Ero incredulo. Sono stato molto fortunato. La mia prima campagna la feci con il fotografo Mario Testino, accanto a Gisele Bundchen, per un marchio famoso in Brasile. È stato un ottimo inizio per me, mi ha dato l’opportunità di girare il mondo e di lavorare per marchi della moda molto importanti come Ferragamo, Ferré e Zegna.
Davvero un’altra vita.Sì, ma la mente tornava spesso a quel paesino del Sud del Brasile. C’erano cose del mio nuovo lavoro che mi ricordavano la mia infanzia. Certo, ora si parlava di tessuti, di stoffe e non di ferro e di legno, ma il processo era lo stesso: bisognava avere cura nella scelta del materiale, attenzione per i dettagli.
C’è questo dietro la decisione di fare un lavoro della sua passione?Sì, è difficile da spiegare. Costruire una cosa così semplice, umile, ma efficiente, mi dà enorme piacere. E poi sento molto l’eredità di Alberto Ascari: è sempre stata in me e parte di me. Non so come, ma è così. Anche io, quando morirò, vorrei lasciare qualcosa che parli di me, che sia una parte di me e che porti gioia.
Che percorso ha seguito per diventare un artigiano delle bici così apprezzato?Sono venuto negli Usa per imparare l’inglese e, solo dopo, ho fatto domanda per entrare in una scuola, lo United Bycicle Institute di Portland, Oregon, per imparare a costruire il telaio. E poi è stata solo una questione di tempo perché riuscissi a mettere a frutto tutta l’esperienza che avevo acquisito in fabbrica.
Le biciclette prodotte dalla Ascari Bicycles hanno uno stile vintage, in particolare richiamano alla memoria modelli degli anni ’30, ma sono realizzate con materiali all’avanguardia. Il costo della serie King oscilla tra i 15 e i 20 mila dollari. La bicicletta più costosa (30 mila dollari) è stata commissionata da Ralph Lauren, che la tiene appesa nel suo ufficio, accanto alla scrivania. Di questa bici non esistono fotografie. C’è anche un po’ di Italia, nelle opere di Helio Ascari. I cerchi, rigorosamente in legno, arrivano dalla Cerchio Ghisallo, di Magreglio, Como. I tubi, quindi telai e forcelle, sono invece forniti da un’altra storica azienda italiana, sempre lombarda, la Columbus Tubi. |
Cos’ha di particolare una bici di lusso?Per me questa domanda è importante perché oggi è opinione comune che il lusso abbia a che fare con il denaro: l’oggetto di lusso è quello che pochi possono permettersi. Per me, invece, il lusso è il tempo. Quello che mi prendo per capire un processo e per padroneggiarlo. E poi per creare qualcosa che a sua volta richiede tempo, energie e anche sangue. Il lusso ha a che fare con il dedicarsi a qualcosa che ti sopravviva e che ti ricordi. Per una bici, ci vogliono quattro o cinque mesi, tra idea, progettazione e realizzazione. Dipende da ciò che vuole il cliente. A volte ho carta bianca, altre volte devo inserire elementi specifici, come simboli o disegni. Lavoro sempre con pezzi di altissima qualità, i migliori sul mercato, e ai quali posso aggiungere oro e pietre preziose, oppure legni pregiati come l’ebano e il palissandro. Però, prima di tutto, penso alla funzionalità, perché la bicicletta è una macchina molto difficile da modificare, da adattare al cliente. Si tratta di trovare un equilibrio tra peso e funzionalità: una volta che impari a rispettare questi due elementi, puoi fare un buon lavoro. Le mie biciclette non sono particolarmente tecniche o complesse; punto più sulla bellezza.
Perché New York?È New York che ha scelto me. È l’unico luogo al mondo in cui puoi essere tutto ciò che vuoi, compreso te stesso. È il posto che ha riconosciuto il mio talento, la mia abilità manuale.
Che rapporto ha con l’Italia?È nel mio cuore (in italiano, ndr). Mi sono trasferito a Milano nel ’98 e, pur continuando a viaggiare molto, ci ho vissuto per circa tre o quattro anni. Non ci sono parole per descrivere la bellezza del Duomo, della Galleria Vittorio Emanuele. Mi manca moltissimo. Penso che un giorno forse tornerò, in fondo ho anche la cittadinanza italiana.