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Nicoletta Spagnoli, la stoffa delle donne
Raccogliere l’eredità di un’imprenditrice del ‘900, pioniera della prestigiosa industria della maglieria umbra, non è da tutti. Così lo storico marchio di abbigliamento, Luisa Spagnoli, onora il suo passato ricorrendo a un mix di innovazione e tradizione. Come? Lo spiega la bisnipote della fondatrice e oggi a.d. dell’azienda
Non si è ancora spenta l’eco del successo della fiction Rai sull’imprenditrice Luisa Spagnoli, interpretata da un’efficace Luisa Ranieri, che sorge spontanea la domanda su come mai personaggi con vicende tanto esemplari non vengano studiati nelle scuole. Perché se una donna nata nel 1877 da un pescivendolo e una casalinga riesce a fondare nella sua breve vita (morì a soli 58 anni) ben due aziende, la Perugina (a lei si deve l’invenzione dei mitici Baci) e il marchio di abbigliamento che porta il suo nome, la portata della sua storia può essere estremamente significativa, soprattutto se inserita in un passato in cui le donne godevano di poca o nulla visibilità. La ragione sta probabilmente nel fatto che, come sostiene sorridente la sua bisnipote Nicoletta, che oggi ha ereditato il timone della Luisa Spagnoli, «essendo caratterialmente meno prepotenti, hanno altri modi per affermarsi».
Sarà. Vero è che Luisa è stata una sorta di imprenditrice illuminata, che si lanciava con successo in nuove imprese a rischio – l’allevamento dei conigli d’angora – e ha fatto propria una forte impostazione sociale ed etica del ruolo delle aziende: creò un asilo nido per i figli delle dipendenti, promosse attività di intrattenimento e una “Scuola del buon governo della casa”. I suoi successori, il figlio Mario e il nipote Lino, non sono stati da meno, dando vita dal 1947 al nuovo stabilimento della “Città dell’angora”, intorno alla quale si costituì una comunità autosufficiente, in cui l’aspetto assistenziale e ricreativo era parte integrante del ciclo produttivo. Non c’è che dire, si tratta di un testimone ricco di contenuti e articolato nei risvolti che Nicoletta Spagnoli ha dovuto raccogliere al volo nel 1986, a causa dell’improvvisa scomparsa del padre, venendo catapultata dal ruolo di semplice designer a quello di amministratore delegato. E anche stavolta il Dna di famiglia non ha tradito le aspettative se, malgrado la crisi, il fatturato dell’azienda di abbigliamento (in particolare maglieria) – maturato al 90% entro i confini nazionali – ha continuato a crescere. E di questo, siamo certi, la bisnonna Luisa sarebbe stata molto orgogliosa.
Avendo assunto le redini dell’azienda nel 1986, quest’anno festeggia il suo trentennale in azienda. Sono tanti. Come sintetizzerebbe questo percorso?Sono entrata a lavorare nella società quando avevo circa una trentina d’anni, in precedenza avevo fatto un percorso diverso. Ero solo una disegnatrice quando mio padre morì all’improvviso (anche lui a soli 58 anni, ndr). Quindi, il passaggio generazionale è stato repentino e non abbiamo avuto modo di prepararci e di prepararlo: mi sono ritrovata da semplice dipendente che timbrava il cartellino ad amministratore delegato in un lasso di tempo brevissimo. Per cause di forza maggiore, quindi, ho dovuto fare esperienza direttamente in prima linea.
C’è da dire che lei aveva studiato per fare tutt’altro: dopo la laurea in Farmacia si era trasferita all’università di San Diego. Mi spiega come si diventa imprenditrice, manager e designer dopo un corso di studi apparentemente così diverso? Anche se negli Usa ci sono rimasta solo sei mesi, devo dire che quell’esperienza è stata altamente formativa, sia sotto il profilo lavorativo che come esperienza di vita. Ma in realtà ho sempre disegnato nella mia vita, fin da quando ero bambina. A casa siamo tutti abbastanza bravi.
Fa, come dire, parte del dna familiare? In qualche modo sì, soprattutto da parte di madre, benché mio padre avesse uno zio pittore. Con mia sorella e mio fratello a nove-dieci anni passavamo interi pomeriggi in fabbrica, così facendo imparavamo le basi, familiarizzavamo con i figurini, e ascoltavamo i discorsi delle ragazze che si occupavano dello stile.
Il disegno di moda ha qualcosa di scientifico? Non proprio, ma il metodo di lavoro che ho utilizzato nel corso della mia vita professionale, sì. Le posso assicurare che il liceo classico prima e gli studi scientifici poi non sono andati sprecati (ride). Forse non sono stati in linea con la mia carriera, ma mi sono serviti tantissimo.
Lei rappresenta la quarta generazione di famiglia al vertice della Luisa Spagnoli, che era la sua bisnonna. Poi c’è stato nonno Mario e suo papà Lino. È stata una scelta precisa che fosse una donna a prendere le redini o è stato frutto del caso? Soprattutto un caso: mia sorella era lontana, non viveva più a Perugia e aveva già dei figli, mentre mio fratello era ancora troppo piccolo per raccogliere il testimone. È stata, come dire, una scelta obbligata.
Dica la verità: l’eredità di una figura femminile forte è più facile o più difficile da gestire nel caso delle donne? Confrontarsi con un personaggio come la mia bisnonna è sicuramente difficile, anche perché figure del genere nascono raramente. Consideri che per lei essere donna non ha mai rappresentato un limite, ma un punto di forza. Era un’imprenditrice che non ha mai rinunciato alla sua femminilità, mentre fondava due aziende in cui ha realizzato il suo un genio e la sua indubbia creatività, dava concretezza a innovazioni incredibili per quell’epoca. Sarebbero state cose straordinarie anche oggi, figurarsi allora. Raccogliere una simile eredità è stato abbastanza oneroso, anche perché non è la sola. Mio nonno, che dalla madre aveva ereditato l’intraprendenza, ha fatto cose altrettanto straordinarie, e creato la catena dei nostri negozi. Mio padre, a sua volta, era invece un uomo di numeri: ha capito che era quella la strategia vincente e l’ha ampliata, facendo scelte strategiche nell’ambito finanziario. Se anche in questo periodo di crisi ci siamo difesi bene, lo dobbiamo soprattutto alle decisioni coraggiose assunte negli anni passati.
Infatti, continuate a crescere malgrado la crisi. Qual è stata la vostra strategia in questi anni? È vero, siamo in leggera crescita proprio grazie al mercato interno, il fatturato è salito a 126,4 milioni di euro nel 2015. Due anni fa erano i grandi negozi a vendere di più: aumentavano i ricavi grazie agli stranieri, ai russi in particolare. Oggi c’è un’inversione a favore dei punti vendita medio-piccoli. La scelta vincente è stata offrire prodotti belli e di qualità a prezzi più contenuti rispetto alle fasce alte del lusso. Con la crisi, i clienti sono diventati più selettivi, più attenti, soprattutto nell’acquisto di beni effimeri come può essere un capo di abbigliamento. Anche chi può permettersi di spendere, oggi è diventato più prudente. Ecco perché l’attenzione al prodotto da parte nostra è cresciuta ulteriormente: per vendere è necessario offrire capi particolari, con alto valore aggiunto, che devono colpire l’emotività per puntare sull’acquisto d’impulso. La verità è che il consumatore vuole sentirsi appagato. È importante, quindi, che quando si disegna un capo si tenga conto non solo delle tendenze moda, ma anche dei desideri più intimi delle persone, cercando anche di anticiparli. Per noi la qualità è una scelta obbligata, visti gli alti costi di produzione che non ci consentono di competere su fasce di mercato medio-basse. Che dire? La mia bisnonna dovette affrontare la grande guerra, noi abbiamo questa lunga crisi. Ognuno ha la sua battaglia da combattere (ride).
Qual è la vostra percezione? Ne stiamo uscendo o no?È un saliscendi continuo. Ci sono piccoli segnali di ripresa e poi cadute repentine. Con una situazione estera come quella odierna, è impossibile godere della serenità necessaria a riattivare i consumi. La nostra azienda finora si è difesa abbastanza bene: realizziamo il 90% del fatturato in Italia, grazie alla nostra rete di 152 negozi e alla forza innovativa del marchio nonché ai valori tradizionali che da sempre ci contraddistinguono: l’artigianalità, la qualità dei tessuti e dei filati e l’ottimo rapporto qualità-prezzo.
Non c’è solo l’Italia, avendo altri 51 punti vendita sparsi in 48 Paesi. Quali sono i piani su questo fronte?Sostanzialmente di espansione. A fine febbraio abbiamo aperto la prima boutique in Cina, in uno shopping mall. A marzo apriremo il quinto negozio in Iran, a Teheran, dove siamo presenti da anni. Poi arriveremo in Azerbaigian e un secondo negli Emirati Arabi: sarà nel Dubai Mall, dopo quello nel Marina Mall, sempre a Dubai. Se in Europa apriamo direttamente – l’anno scorso due negozi in Polonia, mentre a maggio sbarcheremo a Londra – nei territori extra-Ue scegliamo sempre dei partner locali che conoscono meglio gli usi e i costumi della popolazione.
Realizzate linee apposite per queste aree?Assolutamente no, ce l’hanno chiesto esplicitamente: vogliono acquistare quello che indossiamo noi. Al limite sono un po’ più attenti alle lunghezze degli abiti. A Teheran, dove abbiamo cinque negozi, come altrove vogliono solo e sempre lo stile italiano.
Tornando alla sua famosa bisnonna, lei ha detto che quelli di Luisa sono stati insegnamenti lungimiranti e coraggiosi. Quali quelli più significativi come donna e come imprenditrice? Luisa diceva che la volontà e la forza d’animo sono alla base di ogni storia di successo, e quindi non solo nell’economia, ma anche nella vita. E poi il coraggio di essere liberi nelle scelte, la tenacia nel perseguire i propri obiettivi e soprattutto il desiderio di fare sempre bene il proprio lavoro. Per riuscirci servono passione, entusiasmo e disciplina, e spirito di sacrificio. Per esempio, a me piace disegnare, pensare nuove collezioni, ma ci sono tanti aspetti del mio ruolo che non amo. Però non bisogna mai arrendersi, ma affrontare tutte le sfide con entusiasmo.
Ho letto che quando sua bisnonna allevava i conigli d’angora per farne dei sofisticati capi in maglia, non venivano uccisi o tosati, ma amorevolmente pettinati. Come dire, aveva un’anima ecologista? Deve sapere che la mia bisnonna non era una persona che frequentava i salotti dell’epoca, faceva vita ritirata. Amava le piante e gli animali: guai se un ospite gli faceva cadere una fogliolina sfiorando un vaso. Aveva tanti animali esotici, anche una scimmietta. I conigli d’angora all’epoca erano considerati animali da giardino e l’idea di pettinarli fu mutuata dalla Francia, mentre nei Paesi anglosassoni venivano tosati. Alla fine, quella scelta che oggi definiremmo animalista si rivelò vincente anche dal punto di vista imprenditoriale, perché il pelo degli animali pettinati risulta più lungo e morbido.
Secondo lei, c’è un modo diverso di fare impresa al femminile rispetto all’approccio maschile? Non direi, esistono certamente delle diversità di carattere e di personalità, ma per quanto mi riguarda sono convinta che gli insegnamenti che io ho ricevuto siano trasmissibili allo stesso modo a mio figlio. Non ho conosciuto Luisa, ma ho visto lavorare mio padre: parlavo molto con lui. Tant’è che ancora oggi quando mi trovo davanti a una decisione difficile da prendere, mi chiedo sempre cosa avrebbe scelto di fare lui. Purtroppo abbiamo lavorato insieme solo tre anni, ma il pensiero, l’esperienza e l’esempio di chi ci ha preceduto rimangono sempre.
I suoi fratelli hanno preso altre strade, suo figlio invece lavora con lei. È lui il futuro dell’azienda? Vedremo, per il momento si occupa dell’area e-commerce, e devo dire che è un fronte che lo appassiona. Per le nuove generazioni l’online è ormai una dimensione naturale, mentre io devo confessare che non riesco a rinunciare al piacere di andare a spasso per negozi e vetrine (ride).
LE PASSIONI DI NICOLETTA SPAGNOLI
Stavolta state preparando la successione? Spero di sì. Penso che sia anche una questione osmotica, perché così è successo a me. Abitiamo attaccati all’azienda, lui come me ha sempre respirato quest’aria: fin da piccolo veniva a trovarmi qui. Ma ci lavora solo perché gli piace.
Lei ha detto che la tradizione territoriale e il bagaglio culturale del passato sono i valori più importanti del brand. Come si sposano questi due elementi con un’impostazione dei mercati che diventano sempre più globalizzati? È importante, per chi come noi opera a livello internazionale, sfruttare la forza del made in Italy per poi consolidare posizioni, e ampliarle sui mercati. La Luisa Spagnoli ha una lunga storia che pochi possono vantare ed è quello che piace all’estero. Le parole chiave sono artigianalità, tradizione e storia. È fondamentale che le aziende di moda nelle strategie di marketing diano peso e valore a questi concetti.
Quindi, raccontare la storia che si ha alle spalle in una sorta di storytelling?La forza dell’Italia è quella di parlare di un territorio straordinario, di avere una storia unica che emoziona gli stranieri. Pertanto, è importante per i nostri brand mettere in luce queste unicità narrandone il passato, valorizzando il proprio heritage, magari attraverso la riedizione dei capi di archivio. L’abbiamo già fatto in passato, rivisitando alcuni pezzi dei vecchi cataloghi o riproponendoli tali e quali, come il mantello d’angora. È stato un successo.
La maglieria umbra vi deve molto. Qual è il vostro legame odierno con la prestigiosa industria del cachemire? È vero, grazie al know how che la Luisa Spagnoli ha creato sul territorio umbro sono nati molti laboratori, che poi sono riusciti anche a costituirsi degli spazi propri di mercato, e delle vere e proprie industrie. D’altra parte è dal 1928 che ci occupiamo di maglieria…
Avete 800 dipendenti, al 90% donne. All’Italia viene rimproverato che la forza femminile attiva nel mondo del lavoro sia inferiore alla media internazionale. Cosa non funziona? È solo una questione di servizi che mancano a supporto delle donne che decidono di avere figli o c’è dell’altro? Credo che esista un problema culturale. La Luisa Spagnoli è nata come impresa al femminile e tale è rimasta, coerentemente col suo essere un’azienda di moda. Consideri che 600 dipendenti fanno parte della forza vendite interna ai negozi… Detto questo, mi trovo bene a lavorare con le donne perché sono abituate a fare tante cose contemporaneamente, ed essendo io un’ansiosa che desidera che venga fatto tutto e subito, sono le uniche che riescono a starmi dietro.
Sia in Perugina che nella Luisa Spagnoli la sua bisnonna ha organizzato habitat aziendali con una connotazione sociale, creando un asilo nido, la “Scuola del buon governo della casa”… Negli anni ’60, quando c’era molto più personale, mi ricordo che l’asilo c’era ancora. Ora siamo solo 200 in sede, sarebbe superfluo. La “Scuola” invece era nella Perugina: c’era una signorina che insegnava alle lavoratrici come occuparsi della casa e allevare i figli. Questa attenzione è andata avanti nel corso delle generazioni: mio nonno pensò e fece costruire attorno alla fabbrica la Città dell’angora a Santa Lucia (Perugia), con le casette a schiera per i dipendenti, botteghe artigiane e luoghi ricreativi.
Siete dunque un’azienda con una forte identità comunitaria. Le imprese possono giocare ancora questo ruolo? Penso proprio di sì, anzi devono. Pur non avendo più l’asilo nido, la nostra azienda rimborsa alle dipendenti la retta fino al compimento dei 20 mesi e riconosciamo un’ora di allattamento in più a nostro carico fino alla stessa età. È stata organizzata anche una sala medica con un’infermiera e un dottore che vengono una volta alla settimana per mettersi a disposizione dei dipendenti per controlli o consulti. Anche se il nostro fiore all’occhiello, però, resta la mensa gratuita: ogni giorno si può scegliere tra quattro primi, quattro secondi e un menù dietetico. Questo perché la nostra è un’azienda concepita come un luogo dove convergono tante diverse esigenze, tutte ugualmente rispettate e considerate. Ci conosciamo tutti personalmente. Io stessa vivo poco in ufficio, solo quando disegno, mezz’ora al massimo. Poi scendo tra le sarte e le modelliste, insieme pensiamo i capi delle nuove collezioni.
La sua bisnonna aveva uno spirito imprenditoriale eclettico, è passata dal cioccolato al tessile. Se ne avesse il tempo, a lei quale altro settore piacerebbe esplorare? Non saprei di preciso, ma amando profondamente la moda, e tutto quello che le ruota intorno e contribuisce a completare il look di una donna, le direi che mi avventurerei nel beauty, dai trattamenti di bellezza al make up ai profumi. Quest’ultimo peraltro è un territorio che abbiamo già esplorato, creando una fragranza che porta appunto il nome proprio della mia bisnonna.
In una battuta: in cosa consiste lo stile, sia in un uomo che in una donna? Sono convinta che in entrambi i generi l’eleganza sia una dote innata, un dono, a prescindere dall’avvenenza in senso stretto, ovviamente. È più che altro un modo di porgersi, di essere che ti fa stare bene anche in un abbigliamento informale. L’eleganza è indipendente dalla moda.
Ma vestire bene aiuta! Certo (ride). Vestire bene valorizza le qualità delle persone, migliorandole.
Credits Images:Era il 1986, esattamente 30 anni fa, quando Nicoletta Spagnoli ha preso le redini dell’azienda in seguito alla scomparsa del padre Lino, nipote della fondatrice Luisa. Il marchio ha chiuso il 2015 con il segno positivo e un fatturato di oltre 126 milioni di euro