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Marco Boglione: non pensare solo al profitto
Offrire opportunità di affari ad altri: è questa la mission covata sin dall’infanzia dal patron del network di aziende indipendenti che lavorano per i marchi Kappa, Superga e K-Way. E che nel mito di Steve Jobs dice: «Fare impresa è un’opzione creativa di vita»
Imprenditori si nasce o si diventa? La storia di Marco Boglione, il patron di BasicNet, il colosso italiano dell’abbigliamento sportivo, farebbe propendere per la prima delle due opzioni. Torinese, classe 1956, segno del toro, Boglione nasce nel seno di una famiglia della medio-alta borghesia piemontese, ultimo di tre fratelli: il padre, Lorenzo, è dirigente di una compagnia di assicurazioni, la madre, Anna, ha avviato con successo nella città della Mole un’attività commerciale di arredamento di interni. Lo spirito imprenditoriale, dunque, non manca nel suo dna. Boglione lo fa capire fin da piccolo alla famiglia. «Volevo fare il presidente degli Stati Uniti, poi il pilota di Formula 1», racconta. «Un giorno però decisi che da grande avrei fatto l’imprenditore». Poi lo vengono a scoprire anche amici e coetanei. All’età di 16 anni, ai tempi del collegio all’Istituto Filippin di Paderno del Grappa, nel Trevigiano, dove si diploma nel 1974, decide di fare della sua passione, la fotografia, un business. I Fratelli dell’istituto religioso gli concedono il permesso di allestire una camera oscura nel ripostiglio dell’aula di fisica. «Mi impegnai a organizzare una scuola di fotografia per gli altri allievi, il cui ricavato delle iscrizioni sarebbe finito delle casse dell’istituto. Io invece ottenni il permesso di vendere gli scatti a chi fosse interessato. Stabilii un prezzo molto più basso rispetto ai costi standard delle foto-ricordo, 1.500 lire contro 5 mila. In questo modo i miei acquirenti avrebbero potuto “rivenderle” a genitori o parenti al prezzo ufficiale, tenere la differenza e guadagnare anche loro». Dopo il primo anno di attività, Boglione riesce a mettere in cassa più di un milione e mezzo di lire, un gruzzoletto più che discreto a quei tempi. «Quello che realizzai in collegio dal punto di vista imprenditoriale rappresenta la vera pietra miliare della mia vita professionale: offrire opportunità di affari ad altri. Non molto in fondo è cambiato da allora, se non le dimensioni del business che gestisco».
PIANO piano che ho FRETTA
Marco Boglione guida oggi un gruppo, BasicNet, che raggruppa oltre 400 imprenditori nel mondo, dà lavoro a oltre 500 persone, fattura 170 milioni di euro l’anno, con quasi 500 milioni di vendite aggregate, vede crescere i propri utili (nel 2014 arrivati a oltre 12 milioni, contro i 4,5 milioni del 2013) ed è presente in 120 mercati. Ogni anno le vendite aggregate a livello mondiale per il solo brand Kappa superano i 60 milioni di pezzi. Al gruppo fanno poi capo marchi che sono impressi nell’immaginario collettivo, come Robe di Kappa, Superga e K-Way. Boglione ha quattro figli, Lorenzo e Alessandro dalla prima moglie, Daniela Ovazza, Maria e Rocco dalla seconda, Stella Lin Hung. Lorenzo e Alessandro sono da tempo entrati in BasicNet. Dovrebbe spettare a loro prenderne le redini quando il patron deciderà di lasciare e dedicarsi ad altro. «Mi piacerebbe rimanere il principale azionista e veder crescere l’azienda senza doverla gestire. Prima o poi arriverà il momento giusto».
Qual è stato l’incontro che le ha cambiato la vita?Nel 1976, a 20 anni, sulle piste da sci del Sestriere, ho avuto la fortuna di conoscere Maurizio Vitale. Fu lui, l’imprenditore che tra il 1968 e il 1971 aveva salvato dal fallimento l’azienda di famiglia, il Maglificio Calzificio Torinese, inventando prima il brand di abbigliamento casual Robe di Kappa e poi quello di jeanseria Jesus Jeans, a propormi di iniziare a lavorare. Ai tempi frequentavo la facoltà di Ingegneria, anche se la mia vera passione rimaneva la fotografia. Decisi di lasciare l’università e, dopo aver fatto uno stage in una società di comunicazione, fui assunto al Maglificio Calzificio Torinese, dove prima lavorai di notte al reparto tessitura, e in seguito all’Ufficio depositi esterni. A 25 anni ero direttore commerciale e marketing. Vitale mi insegnò tutto. Poi, quando si ammalò, mi disse: vattene e fai l’imprenditore. Questa azienda non sopravvivrà a me.
E lei che cosa fece? Fondai la Football Sport Merchandise, tra le prime realtà in Europa a occuparsi di merchandising sportivo. Partimmo da un garage. E quando, come aveva previsto Vitale, il Maglificio Calzificio Torinese fallì, nel 1994 la mia società lo acquisì per 21 miliardi di lire. Nacque così il gruppo BasicNet. Una realtà assolutamente inedita ai quei tempi sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro. BasicNet è un network di imprenditori indipendenti a cui spetta il compito di produrre e commercializzare su licenza nel mondo le collezioni disegnate e industrializzate dalla capogruppo, proprietaria dei marchi. La particolarità sta nel fatto che già allora tutti i processi aziendali erano gestiti attraverso Internet.
Nei suoi primi anni da imprenditore si occupò solamente di abbigliamento sportivo? Assolutamente no. Fondai una quindicina di società in settori diversi l’uno dall’altro. Mi occupai di musica, vendetti kit per le signore che lavorano a maglia per realizzare capi firmati ma fai-da-te, entrai nel comparto dei prodotti alimentari di alta qualità, così come della consegna a domicilio, in 24 ore, di ostriche, aragoste e bistecche americane. Nel 1988 diedi vita alla BasicMerchandise e produssi magliette, felpe e cappellini per le tifoserie con un marchio di proprietà, Basic. Un nome che mi avrebbe da allora accompagnato lungo il mio percorso imprenditoriale.
Lei è sempre stato un grande appassionato di tecnologia. A un anno esatto dalla morte di Steve Jobs, comprò una pagina pubblicitaria sui principali quotidiani nazionali per ricordare e celebrare il fondatore dell’Apple… La mia passione per le nuove tecnologie mi spinse a comprare nel 2010, a un’asta di Christie’s, l’Apple 1, la prima creatura nata dal genio di Jobs e Steve Wozniak: me ne ero invaghito a 20 anni, ma allora non avevo i soldi. Steve Jobs deve essere preso a esempio da chiunque voglia dedicare la sua vita al mestiere dell’imprenditore. Jobs ci ha insegnato che fare impresa deve essere considerata come un’opzione creativa di vita, lo si può fare bene solo con amore, sensibilità, un po’ di trasgressione. Pensare solo al profitto non è soltanto sbagliato, ma porta anche all’inaridimento delle idee, alla negazione in fondo del ruolo etico che è proprio dell’imprenditore. Le aziende nascono sulla base di un’ambizione e di una passione dell’imprenditore.
Perché per lei l’informatica è così importante? Perché permette di gestire un flusso enorme di informazioni in tempo reale e senza errori. Un computer si può rompere, può restare senza corrente; però non può sbagliare. Senza il Web e le nuove tecnologie, sarebbe impossibile mettere in comunicazione ordinatamente un network di imprenditori nel mondo che – senza mai toccare un pezzo di carta, e qui includo fax e mail – hanno a disposizione sulle nostre piattaforme ogni passaggio dell’intera catena della domanda e dell’offerta. È quello che chiamo il “sistema nervoso digitale” di BasicNet. Vent’anni fa, quando iniziai a investire milioni – a quei tempi miliardi – in Information Technology, mi diedero del pazzo. Oggi tutte le aziende si sono adeguate. Chi non lo ha fatto, non esiste più.
Il suo business, almeno negli ultimi 20 anni, è acquisire marchi storici, ormai fuori dal mercato o quasi, e rilanciarli. Quale altro tratto comune hanno i suoi marchi? Nessuno, sennò mi farei concorrenza in casa. Ogni marchio copre un segmento di mercato diverso. È vero che mi trovo meglio a lavorare con marchi che hanno una storia, ed è vero che sono posizionati tutti in un settore – quello dell’informale – che conosco bene. Ma si tratta di un settore immenso. I marchi del Gruppo BasicNet hanno target diversi, prodotti diversi e prezzi diversi. L’unica cosa che hanno in comune è BasicNet: o meglio, il suo modello di business.
Cosa pensa del ruolo sociale dell’impresa, in un contesto che vede lo Stato sempre più indietreggiare e lasciare ad altri soggetti la gestione del welfare? L’impresa deve essere considerata al centro della nostra società, non può essere altrimenti. Se vogliamo alimentare un welfare che funzioni, il sistema economico deve essere florido e poggiare su basi forti. Dunque, gli sforzi della politica, di tutto noi, devono guardare a questo obiettivo. Senza crescita, senza sviluppo, le imprese italiane perdono competitività e la società è destinata all’impoverimento. Purtroppo, questo è stato lo scenario dominante negli ultimi anni, a cui bisogna porre un argine, per evitare conseguenze ancora peggiori. Se l’economia riprendesse a volare, a beneficiarne sarebbe in primo luogo lo stato sociale, a cui le imprese forniscono un contributo finanziario determinante. Dal momento che il circolo è virtuoso, se il welfare funzionasse meglio, a guadagnarci sarebbero cittadini, imprese e lo Stato stesso. La crescita inoltre permetterebbe di ridurre quel debito verso l’estero che da anni, sempre di più negli ultimi tempi, paralizza il Paese. Raddoppiando il fatturato dell’Italia, il debito scenderebbe del 50%. La crescita è l’unica strada.
1976Conosce Maurizio Vitale e inizia a lavorare per il Maglificio Calzificio Torinese.
1985Marco Boglione esce dal Maglificio e fonda la Football Sport Merchandise.
1994La Football Sport Merchandise vince l’asta per il Maglificio Calzificio Torinese e si trasforma nel gruppo BasicNet.
1999BasicNet è quotata alla Borsa italiana.
2004BasicNet acquisisce il marchio K-Way.
2007BasicNet acquisisce il marchio Superga, dopo esserne diventato, tre anni prima, unico licenziatario mondiale.
Eppure s’ingrossa il partito di chi dice che oggi, nel Belpaese, è ormai impossibile fare impresa. Lei come la pensa? Dico che è difficile, ma dico anche che l’Italia è il migliore showroom del mondo. “Italia” è un brand fortissimo: tutto il mondo vuole ciò che è italiano. E, per nostra fortuna, il nostro mercato è il mondo. Grazie a Internet, BasicNet è nata 20 anni fa già come azienda globale. Disegniamo in Italia, produciamo e vendiamo in 120 Paesi. Con la Rete siamo veloci, flessibili, affidabili. Siamo glocal: locali e globali insieme, con la testa e il cuore in Italia.
Quali sono le qualità che deve avere oggi un imprenditore? Una sua collega, qualche tempo fa, mi disse che aveva scoperto “le tre P del signor Boglione”: pazienza, passione, persuasione. Credo che siano caratteristiche comuni agli imprenditori. Serve avere pazienza, perché i risultati non si contano in mesi, ma in anni, se non decenni. Poi ci vuole la passione per quanto si fa: “amore”, come diceva Jobs. Infine, occorre la capacità di coinvolgere gli altri: i tuoi colleghi per primi. Per iniziare un’impresa è necessario che almeno un altro ci creda: un socio, una moglie. Qualcuno che sia persuaso quanto lo sei tu.
Noi italiani abbiamo la mentalità delle “tre P”? In generale, sì: ne abbiamo la capacità. Il guaio è che in Italia c’è un problema culturale. Il mestiere dell’imprenditore è il più etico che esista, ma la scuola e la società non lo dicono. Anzi: sovente accade il contrario. Nessuno dice ai giovani che non c’è nulla di male nel diventare ricchi. In Italia viviamo in una cultura che demonizza ancora il denaro. A meno che non arrivi sotto forma di eccezione, come diventare un super calciatore di serie A. Dati Istat alla mano, i ragazzi sotto i 18 anni da grandi vogliono fare i “personaggi televisivi” oppure i calciatori. Alcuni, più realisti, sognano di diventare avvocati o giornalisti; un po’ meno medici. Tra le ragazze, va forte il mestiere di “veline”. Meno dell’1% dei nostri ragazzi vuole diventare imprenditore. In America, gli under 18 che sognano di fare impresa sono il 25%. Infatti all’università inventano Facebook. Qui, imparano a usare Excel.
Eppure lei è italiano ed è un imprenditore. Da dove le arriva la cultura d’impresa? Di certo dalla mia famiglia. Molto da mia madre, che fin da piccoli diceva a me e ai miei fratelli che dovevamo lavorare sodo, farci una posizione e non lamentarci mai. Non credo sia un caso se tutti e tre – in modi diversi – siamo diventati imprenditori. Sono cresciuto con questa ambizione. Dicevo che sarei diventato ricco. Non è andata esattamente così, perché a me piace più il viaggio della meta. Però un’azienda è nata – più di una in realtà – e ormai sono più di 30 anni che navigo in questo mestiere.
A proposito di problema culturale, come si sta comportando la politica italiana? A mio giudizio il governo Renzi sta facendo bene, sta mettendo in atto delle riforme condivise. Ne apprezzo il coraggio e la determinazione. E soprattutto la volontà di valorizzare il percepito del Paese sul fronte internazionale. La nostra politica deve per prima cosa capitalizzare quell’immagine unica che l’Italia può vantare all’estero. Il nostro brand è forte, apprezzato, riconosciuto ovunque. Non parlo solo della storia, della cultura, dell’arte, di una lingua che in tanti amano. Penso anche alla serietà con cui i nostri imprenditori operano sui mercati esteri. La passione del mercato globale per l’Italia è la leva da cui ripartire.
Articolo pubblicato sul numero speciale L’anima delle imprese di agosto 2015