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Anche il Jobs Act nel mirino del Garante della Privacy
Presentata in Parlamento la relazione dell’Authority: necessarie maggiori tutele per i lavoratori; grande attenzione anche al tema giustizia
L’Autorità garante della privacy ha portato in Parlamento la sua relazione annuale sui reclami ricevuti nel 2014. Dai dati presentati, emergono chiari segni di insofferenza verso settori quali il marketing telefonico, il recupero crediti e la videosorveglianza. A finire nel mirino del Garante sono soprattutto banche e finanziarie, ma non se la passano meglio datori di lavoro, editori e compagnie telefoniche e di assicurazioni. Le ispezioni effettuate lo scorso anno, in tandem con la Guardia di Finanza, sono state 385; 577 le denunce di violazioni amministrative.
JOBS ACT. Antonello Soro, presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali, ha esaminato anche alcune delle riforme previste dal nuovo Jobs Act. In particolare, sembra possa risultare dubbia la legittimità del controllo a distanza degli impiegati da parte dei loro datori di lavoro: i nuovi strumenti di cui la tecnologia ha dotato i titolari (sistemi di geolocalizzazione, telecamere ecc.) sono risultate invadenti rispetto alla privacy dei dipendenti. Tutelare i diritti diventa per l’Authority una priorità, in un’epoca in cui l’innovazione tecnologica ha sì aumentato l’efficienza delle aziende, ma ha messo in pericolo il confine tra vita pubblica e privata di chi subisce un controllo potenzialmente indiscriminato sul luogo di lavoro.
L’OPINIONE DEL MINISTERO. Preoccupazione, quella di Soro, condivisa da Laura Boldrini, che nel presentare il rapporto si è mostrata disponibile ad un confronto sui punti problematici. Tali dubbi non sembrano comunque pienamente condivisi dal ministero del Lavoro. Il dicastero, infatti, difende il Jobs Act e la legittimità delle norme sui sistemi di controllo, a suo dire adeguato alle leggi vigenti (risalenti agli anni ’70), opportunamente riviste in funzione delle innovazioni da allora comparse e comunque adeguate alle linee guida dell’Authority, emanate nel 2007.
GIUSTIZIA MEDIATICA. Un occhio di riguardo, inoltre, è stato riservato alla questione della giustizia e della sua dimensione mediatica. Il rischio della “gogna” è alto, soprattutto per la tendenza ad alimentare una fame di sensazionalismo che va ben oltre il diritto di cronaca; diritto che a quanto pare non rende legittima la pubblicazione di atti d’indagine e ntercettazioni. La divulgazione di tali documenti, infatti, rappresenta un’irreparabile e inaccettabile danno alla privacy dei soggetti coinvolti, specie se minori.
SENTENZE ONLINE. Tale problematica si ripresenta anche nella pubblicazione delle sentenze in Rete. Sistema questo utile per garantire la trasparenza e aumentare il numero di risorse a disposizione di cittadini ed istituzioni, diventa purtroppo a causa dei motori di ricerca un rischio per chi si trova “in balia” del web. Per garantire la democrazia, sarà obiettivo del Garante mantenere disponibile il patrimonio informativo che rappresentano queste pubblicazioni, ma difendendo la privacy degli interessati; il sistema sarà quello della deindicizzazione, ossia del nascondimento dei nominativi presenti nei documenti, i quali verranno dunque “oscurati” a Google e affini.