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Pernod Ricard, una storia da bere

Intervista al Ceo del gruppo Alexandre Ricard che, quarantenne, ha appena assunto la guida della multinazionale dei superalcolici da 8 miliardi di euro

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Se si fa notare ad Alexandre Ricard che è difficile trovare un giova­ne manager a capo di una grande multinazionale, lui risponde: «In Francia il nostro ministro delle Fi­nanze ha 37 anni (Emmanuel Macron, ndr), anche Matteo Renzi è 40enne. Io ne ho quasi 43, quello vecchio sono io!». Battute a parte, il nipote di Paul, fondatore dell’impe­ro Pernod Ricard, sa che l’età di un manager conta poco. «L’esperienza è importante, ma lo è anche la testa. Conosco 60enni dalla mente giovane e 25enni che già sembrano vecchi. Oggi i tempi si sono ristretti, le cose sono sempre più complicate, imprevedibili e volatili. Conta essere veloci nel prendere de­cisioni e avere una mentalità aperta e dina­mica». Cose che Alexandre Ricard ha impa­rato sulla sua pelle: da questo mese Ceo del gruppo, ha costruito la sua carriera mattone su mattone. L’ingresso in Pernod Ricard, in­fatti, avviene solo nel 2003, dopo una laurea alla Escp di Parigi, un Mba in Finance Entre­preneurship alla Wharton University e sette anni nei settori della consulenza e bancario (Accenture e Morgan Stanley). Nel gruppo di famiglia ha ricoperto diversi ruoli in Euro­pa e in Asia, prima di affiancare, dal 2012, l’ormai ex Ceo Pierre Pringuet come Chief Operating Officer e Deputy Chief Executi­ve Officer.

Come ci si sente a essere il Ceo di un grup­po da 8 miliardi di fatturato?Ero emozionato all’idea perché, oltre a es­sere una multinazionale da 8 miliardi (con profitti in crescita del 2% nell’ultimo anno fiscale, ndr), è soprattutto un gruppo com­posto da 18 mila persone straordinarie, ap­passionate del loro lavoro e dei nostri brand. Si sentono fiere di essere parte di Pernod Ri­card, lo dicono i numeri. Ogni due anni conduciamo un sondaggio anonimo tra i di­pendenti, affidandoci a una società esterna; ebbene, il 92% si sente assolutamente orgo­glioso di lavorare per questo gruppo. Penso che ciò sia semplicemente fantastico.

L’essere nipote di Paul Ricard è più un van­taggio o una responsabilità?Sono orgoglioso del mio nome e delle mie radici, ma riconosco che questo im­plica anche un grande senso di respon­sabilità, con il quale mi sento a mio agio. Ciò che è importante per me è che – as­sodato che c’è la famiglia alle spalle – il ruolo mi sia stato dato da Pierre Pringuet: non un membro della mia famiglia, ma della più grande famiglia Pernod Ricard. Un domani cederò il bastone del coman­do a qualcun altro del gruppo, della fa­miglia o no, sulla base delle prospettive dell’azienda.

Cambierà qualcosa nei prossimi anni? In Pernod Ricard un nuovo Ceo non equivale a un cambio di rotta. Ho lavora­to a stretto contatto con Pierre Pringuet, la mia strategia è fortemente in linea con la sua e si concentra su sviluppo dei mar­chi premium, espansione e innovazione. Uno degli ultimi esempi su questo fron­te arriva proprio dall’Italia con il lancio del Ramazzotti Aperitivo Rosato. L’espan­sione, invece, riguarda nuovi mercati – guardiamo con interesse all’Africa, per esempio all’Angola, Namibia, Ghana, Nigeria e Kenia, dove si registra un’enor­me crescita – ma anche nuovi canali. Ab­biamo iniziato un grande rinnovamento sul fronte digitale: nel modo in cui lavo­riamo (abbiamo un social network pro­fessionale interno), ma anche nel modo in cui interagiamo con i consumatori.

Qual è il segreto per gestire un’azienda di queste dimensioni? Tendiamo a conoscerci tutti personal­mente e penso che – questo è un punto fondamentale grazie al quale continuia­mo a crescere – ci piace mantenere una mente aperta, quasi come in una start up. Poi abbiamo tre valori chiave: impren­ditorialità, forte senso etico e fiducia re­ciproca. C’è una gestione molto decen­tralizzata: questo significa, per esempio, che la nostra divisione italiana ha, sul­la base di alcune linee guida come bu­dget, comunicazione e strategie di posi­zionamento, piena libertà nel raggiungere il proprio obiettivo. Così sentono di avere potere e responsabilità, questo li motiva a dare il massimo.

Operate in Italia da 30 anni. È vero che qui si beve meno, ma meglio?Sì, ed è un trend che vediamo in diver­si mercati maturi. Il che va bene, per­ché miglior qualità equivale a prezzi più alti… Buon per noi (sorride)! La premiu­mization è la risposta a questo fenomeno, ma anche l’innovazione: la nuova Abso­lut Elyx costa il doppio della classica Ab­solut in quanto è il massimo della vodka di lusso. Per questo stiamo investendo in nuove opportunità di consumo.

Quest’anno Pernod Ricard celebrerà il suo 40esimo anniversario…In verità, è incredibile, ma abbiamo quattro anniversari: ci saranno anche i 30 anni di Pernod Ricard Italia, i 200 di Ramazzotti e i 300 di Martell. Avre­mo quindi diverse ricorrenze da cele­brare, dei marchi Ramazzotti e Martell probabilmente prepareremo un’edizio­ne speciale.

Il suo alcolico preferito?Ah, ho una risposta speciale per que­sto e non le piacerà… Dipende! (ride). E il consumatore che c’è in me darebbe la stessa risposta. Se mi trovassi a metà di una splendida giornata, in agosto, su una terrazza sul mare nel Sud della Francia sceglierei un Ricard; se fosse un vener­dì sera, dopo cena, in un ristorante a Mi­lano, berrei un Amaro Ramazzotti; se do­vessi festeggiare una ricorrenza specia­le, punterei su uno champagne Mumm o Perrier-Jouët… C’è un momento per tutto.

Cosa le piace fare nel tempo libero?Mi piace bere! No, scherzi a parte: mi piace correre. Non sono tipo da marato­ne, ma di solito corro per una mezz’ora il sabato o la domenica mattina per te­nermi in forma. E vado spesso al cinema.

Un brand che vorrebbe acquisire?I sogni sono una cosa e la realtà è un’al­tra. Tengo a dire che siamo fortunati ad avere i brand che abbiamo. Insieme, i nostri 14 marchi chiave strategici hanno alle spalle 2 mila anni di storia. E quando scavi in essa scopri vicende straordinarie! Una di queste è legata a John Jameson (fondatore dell’omonimo whisky, ndr): la nipote venne in Italia per studiare l’ope­ra e la danza, si innamorò di un italiano, Giuseppe Marconi, ebbero un figlio e lo chiamarono Guglielmo. Inventò la radio in un cottage nel Nord della Repubbli­ca d’Irlanda dopo uno shot di Jameson. E poi il cognac Martell è nato prima della Rivoluzione Francese e quanto si potreb­be raccontare in proposito! Quasi tut­ti i nostri marchi hanno una grande storia alle spalle e sono parte della nostra civil­tà e cultura. Il nostro scopo, quello che mi fa alzare tutte le mattine, è credere fermamente che i nostri brand, consuma­ti in modo responsabile, abbiano parteci­pato e contribuito a vivere meglio, picco­li o grandi gioie quotidiane della vita. Ci piace lavorare con le radici di un brand, dare risalto alle storie già esistenti, all’au­tentica eredità di un marchio. Questo è il nostro lascito: rispettare i marchi e la loro eredità.

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Alexandre Ricard