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Altro che declino, l’Italia è ancora una potenza industriale

Intervista a Federico Pirro, docente di Storia dell’industria all’università di Bari

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Abbiamo perso terreno in diversi settori, ma una cosa resta fuori dubbio: l’Italia è ancora un Paese industriale avanzato, che vede la presenza di grandi aziende insediate sul territorio, al Nord ma anche al Sud. È questa, in sintesi, l’opinione di Federico Pirro, docente di Storia dell’industria all’Università di Bari, oltre che autore di diversi saggi sull’economia meridionale e membro del comitato scientifico del Centro studi dell’Ilva di Taranto.

Dunque, professore, non è vero che la grande industria italiana è quasi scomparsa… Non è vero, si tratta di un luogo comune. L’Italia rimane il secondo Paese manifatturiero dell’Unione Europea e fra i primi dieci al mondo, anche grazie alla presenza di numerosi grandi gruppi fortemente internazionalizzati, alcuni dei quali sono ancora sotto il controllo pubblico.

Qualche esempio?Se ne possono fare tanti e in diversi settori, dall’aerospazio alla chimica di base, dalla raffinazione petrolifera al comparto automobilistico, senza dimenticare la siderurgia, l’agroalimentare, la cantieristica o le costruzioni.

I nomi delle aziende?Anche in questo caso, la lista è lunga. Alenia Aermacchi, AgustaWestland, Versalis, Fiat Auto, Enel, Riva Fire, Ferrero, Barilla, Fincantieri, Msc o il Gruppo Grimaldi, ma anche Impregilo, Mediaset o Saipem, solo per citarne alcuni. Si tratta di gruppi che, nell’ultimo decennio, hanno quasi tutti rilanciato la propria presenza produttiva in Italia e, in alcuni casi, hanno acquisito anche partecipazioni di controllo in società estere.

Ma è così importante, oggi, conservare una grande industria nazionale in Italia?Assolutamente sì, senza grandi industrie sarebbe difficilmente ipotizzabile una presenza permanente dell’Italia nel gruppo di testa delle nazioni manifatturiere. Peraltro, non dobbiamo dimenticarci che molti grandi gruppi alimentano un indotto di piccole e medie aziende altamente qualificate, alcune delle quali sono diventate ormai delle multinazionali tascabili.

Perché, allora, molti grandi gruppi sono scomparsi?Le cause di questo fenomeno sono molteplici e difficili da sintetizzare: perdita di competitività, fusioni sbagliate, errori manageriali, privatizzazioni onerosissime, ostacoli politici. Tuttavia, pur in presenza di alcune gravi perdite nell’industria nazionale, possiamo dire che abbiamo conservato il made in Italy in senso lato, cioè inteso non soltanto come fashion ed enogastronomia ma come insieme di attività che comprende i settori che ho citato.

C’è chi accusa la grandi imprese italiane di aver puntato troppo sulla finanza e sul debito, sacrificando le proprie radici industriali, cosa ne pensa?Direi che la leva dell’indebitamento è stata usata soprattutto per le politiche di fusioni e acquisizioni, avvenute in diversi settori industriali. Ma è noto, sin dagli inizi della storia del Regno d’Italia, che il capitalismo italiano, strutturalmente sottocapitalizzato, ha dovuto ricorrere al credito bancario e all’intervento della Stato per crescere o per salvarsi.

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Federico Pirro