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Ne resterà soltanto uno: LinkedIn
Chi prevarrà tra Twitter, Facebook e Google+? Sorpresa: per Erik Qualman l’autore di ‘Socialnomics’ a resistere sarà il network professionale. «Sul Web vince chi è insostituibile. E chi riesce a influenzare (coi fatti) la propria reputazione»
Non chiamatelo guru. Erik Qualman è piuttosto un osservatore partecipante di quel vasto universo in continua espansione chiamato Web 2.0. È proprio attraverso l’analisi del fenomeno e delle sue implicazioni (soprattutto economiche) condotta nelle pagine del bestseller Socialnomics, che Qualman si è conquistato la fama che oggi lo precede quando interviene nelle conferenze internazionali. Noi lo abbiamo incontrato a Milano, al Businessconnect organizzato a maggio da Ibm, e ci siamo fatti dire cosa sta cambiando e soprattutto cosa cambierà nel mondo dei social media: quale sarà l’impatto delle nuove tecnologie sul modo di vivere l’o line per i consumatori e per le aziende, e chi vincerà la guerra dei network in base a come stanno mutando le forze in campo.
Cresce l’attesa per device come i Google glasses o l’iWatch. In che modo sono destinati a cambiare lo scenario economico attraverso i social media?Tutto diventerà ancora più accessibile per gli utenti, a partire dai prodotti e dai servizi offerti dai brand. Ma, ancora più importante, verrà valutato e recensito in tempo reale attraverso meccanismi social. In questo scenario saranno le aziende che forniscono i prodotti e i servizi migliori in senso assoluto quelle che risulteranno vincitrici, mentre secondo il vecchio paradigma aveva e ha maggior successo chi gestisce il marketing migliore, o la distribuzione migliore oppure chi, semplicemente, ha le dimensioni maggiori.
Ma ciò non è pericoloso per chi investe parecchie risorse in R&S?Le grandi organizzazioni possono sempre cambiare la propria strategia in corso d’opera. La valutazione dei clienti semplicemente aiuta a capire cosa si è fatto di sbagliato. Non esistono aziende perfette, esistono aziende capaci di adattarsi e migliorare.
Alle pmi italiane, che solo ora si affacciano sui social network e sull’internazionalizzazione, cosa consiglia?Raccomanderei di non lasciarsi spaventare dalle nuove tecnologie. I social media non riguardano la tecnologia in senso stretto, hanno più a che fare con la costruzione di relazioni. Si tratta semplicemente di utilizzare nuovi strumenti, attraverso cui diffondere il passaparola, “word of mouth”. Anzi, con l’avanzare dell’internazionalizzazione, l’espressione che descrive il fenomeno attraverso i new media potrebbe essere “world of mouth”. Le applicazioni social sono una grandiosa opportunità per le organizzazioni che non hanno tante risorse da investire in marketing: perché se si focalizzano sullo sviluppo di servizi attorno alla propria offerta e di relazioni costruttive con i clienti, saranno i clienti stessi a raccontare una storia per conto loro attraverso il passaparola, e lo faranno mettendo il brand in buona luce.
Che tipo di storia bisogna costruire e raccontare?Varia da organizzazione a organizzazione. Per saperlo è necessario ascoltare i propri clienti: saranno loro a dire cosa vogliono. E per cominciare a capire qual è la cosa più importante nella loro percezione bisognerebbe porre e porsi due domande: cosa si compra da noi, e perché si compra da noi? Anche la piattaforma da utilizzare andrebbe scelta in funzione delle risposte che si ottengono.
Quale sarà il social network più utilizzato in futuro? LinkedIn. Al di là del fatto che piattaforme come Myspace, Google+ e lo stesso Facebook sono sostanzialmente sostituibili l’una con l’altra e nella maggior parte dei casi già perfettamente integrate, tutte queste proposte si sono evolute attraverso lo sfruttamento di applicazioni costruite sull’infrastruttura realizzata secondo la visione che Google ebbe 15 anni fa. LinkedIn ha seguito una strada diversa, e se anche arrivassero nuovi network professionali, dubito che sarebbe così semplice riuscire a importare su un’altra piattaforma i contatti e soprattutto le raccomandazioni che si sono collezionati nel corso degli anni. E non sottovaluterei il fatto che social network come Facebook attualmente sono bloccati in Cina. LinkedIn, invece, no.
Parliamo di digital reputation. Si può controllare o è solo uno specchio nella realtà virtuale di quello che si fa nel mondo reale?Il controllo non esiste più.
È una buona o una brutta notizia?Forse c’è del buono, ma secondo me per lo più è una brutta notizia. Non c’è più privacy. E visto che non esiste controllo, parlerei più che altro di influenza da esercitare sulla nostra reputazione: quando vengono caricate online informazioni che ci riguardano, il massimo che si può fare per modificarle è adottare un determinato comportamento nel mondo reale, fino a quando non si stabilirà una nuova percezione sull’online. Ma in ogni caso rimarrà un’ombra indelebile sulla nostra immagine. A volte quest’ombra è collegata alla nostra reputazione fin da prima che nasciamo. Basti pensare ai post, alle foto, alle informazioni che per esempio una coppia di futuri genitori carica online nei nove mesi che precedono il parto. Oggi reputation (quello che il pubblico percepisce di noi) e integrity (quello che facciamo davvero nel mondo reale) tendono a corrispondere. E questo perché la trasparenza è totale. A scapito, come dicevo, della privacy.
Pensiamo a un Paese come l’Italia, che sta attraversando uno dei momenti più delicati della sua storia. Questa rivoluzione ci aiuterà?La maggiore disponibilità di informazioni (e delle tecnologie per condividerle) è sempre un bene. Soprattutto se favorisce il coinvolgimento dei cittadini per la risoluzione dei problemi avvertiti dalla società.
Credits Images:Erik Qualman