Attualità
È iniziata l’era della cross-innovation (ma i manager non sono pronti)
Aziende che fondano insieme nuovi marchi, si scambiano i manager e collaborano persino con i concorrenti per ridurre spese e impatto ambientale. Perché le imprese autoreferenziali, ormai, appartengono al passato
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C’erano una volta aziende che segnavano rigidamente i propri confini, che guardavano solo al proprio interno per crearsi un futuro di successo, che scrutavano con sospetto le altre imprese, concorrenti in primis ovviamente… Tutto questo, si può ben dire, è storia vecchia. Ai tempi della civiltà (ed economia) digitale l’innovazione deve prendere tutt’altra strada ed essere “cross”, incrociata, interdisciplinare e transdisciplinare. In pratica è tempo di modificare i vecchi modelli gestionali, consolidati e rassicuranti ma superati, per osare e incrociare esperienze, culture, risorse, competenze, brevetti, canali, settori e quant’altro vi può venire in mente, superando radicalmente i confini aziendali. Perché così si ottengono i risultati migliori.
ALIMENTARE PRECURSORE. Il settore alimentare è oggi, per esempio, un vero crocevia di cross-innovation, l’invasione di campo dal cibo alla cosmesi, alla dermatologia, al design, sembra essere ormai la regola. Negli Stati Uniti esiste perfino una bevanda vitaminizzata per bambini, Y Water, la cui bottiglietta dopo l’uso si trasforma in un gioco. In questo campo, un esempio perfetto di innovazione incrociata è il marchio di nutricosmetici Innéov, frutto di una joint venture tra Nestlé e L’Oréal. Approdato sul mercato nel 2003, con il lancio di un prodotto per la tonicità della pelle (Innéov fermeté), il brand nasce dalla volontà di unire le rispettive competenze – in campo nutrizionale quelle di Nestlé, dermatologico quelle di L’Oréal – per ottenere prodotti d’avanguardia, come racconta a Business People il direttore marca, Alessandro Cravedi: «Due aziende leader nei propri settori hanno messo in campo i propri punti di forza, complementari, per creare qualcosa di nuovo, frutto del meglio disponibile in entrambi i comparti. Gli accordi», spiega, «prevedono che Nestlé si occupi di selezionare gli ingredienti, ottimizzare il loro assorbimento e verificarne le qualità di innocuità e conservazione, e che L’Oréal si dedichi alla valutazione degli effetti sulla bellezza, alla commercializzazione e al marketing». La collaborazione si sviluppa, quindi, su due fronti da un lato quello della ricerca e dall’altro quello della divisione dei compiti a livello di business.
OLTRE IL CO-MARKETING. Si tratta, dunque, di andare ben oltre il co-marketing per arrivare alla co-creation, ossia a creare insieme qualcosa di veramente nuovo. Così come è accaduto spesso in Philips dove – tra la fine degli anni ’90 e gli anni 2000 – è nata una serie di prodotti sviluppati in collaborazione con Alessi e, dall’incontro con Nivea (marchio Beiersdorf), il rasoio elettrico Coolskin. «Nel campo della rasatura», fanno sapere dall’azienda, «c’era bisogno di sviluppare un prodotto che fosse elettrico, ma vantasse anche i benefit tipici del mondo della rasatura umida. Da qui l’idea di un rasoio con, al suo interno, la possibilità di emissione della crema da barba, che regalasse la piacevolezza della rasatura a lametta combinata con l’efficacia di quella elettrica». Una vera e propria integrazione funzionale per creare una “terza via” per la rasatura che andasse a conquistare gli indecisi tra i due metodi. Più o meno allo stesso periodo risale anche una gamma di prodotti co-branded Philips-Nike per l’ascolto della musica in Mp3, allora tecnologia emergente, dedicati specificamente agli sportivi. Processo simile a quello che vede oggi Nike impegnata in una collaborazione con Apple per cui iPod o iPhone possono diventare un supporto all’allenamento, grazie a un piccolo sensore da inserire nelle scarpe da corsa. IL DECALOGO DELLA CROSS INOVATION
NEMICI-AMICI PER L’AMBIENTE. Ma i casi che fanno certamente più “scalpore” sono quelli che vedono collaborare aziende dello stesso settore e quindi, per loro natura, concorrenti. È il caso dell’accordo tra Mars e Ferrero, unite, in Germania, per innovare logistica e distribuzione dei prodotti, principalmente in un’ottica di riduzione delle emissioni di Co2 e salvaguardia ambientale. Un tema caro alla multinazionale statunitense che, già nel 2009, si è anche impegnata ad acquistare l’intera fornitura di cacao da fonti sostenibili certificate entro il 2020, e invita da tempo il settore a collaborare per il bene comune. «Mars chiede che i programmi realizzati in passato su scala ridotta vengano ampliati, e che l’industria si ponga come massima priorità una rinnovata attenzione ai benefici per i coltivatori di cacao», racconta Antonella Baggini, Corporate Affairs Manager Mars Italia. «Per questo stiamo mettendo in atto programmi non competitivi di cui l’intera industria potrà beneficiare. In quest’ottica abbiamo firmato, con altri leader di imprese globali che operano nel comparto alimentare e non solo, il “Leadership Compact”, dichiarazione di intenti tesa a valorizzare e salvaguardare il capitale naturale della terra». Collaborazione a tutto tondo sul fronte delle grandi sfide dunque, ma senza snaturare il concetto di concorrenza, almeno secondo Baggini. Sempre il tema ambientale è riuscito a “mettere d’accordo” anche colossi dell’Hi Tech come Ibm, Nokia e Sony, protagonisti del progetto Ecopatent Commons insieme all’americana Pitney Bowes, specializzata nei sistemi per le gestioni logistiche. L’idea è stata quella di mettere a disposizione gratuitamente i loro brevetti ecologici, così chi vorrà utilizzare le loro innovazioni tecnologiche brevettate per finalità ambientali non dovrà tirar fuori un euro.
IN P&G L’OPEN INNOVATION È L’ABITUDINE. Protagonista di un altro caso di collaborazione con il concorrente è la multinazionale Procter & Gamble. Non è una sorpresa, visto che P&G nel 2001 ha dato vita a un vero e proprio programma di open innovation chiamato Connect + Develop, attraverso il quale sviluppa collaborazioni con università, aziende, enti pubblici e privati o liberi ricercatori proprio per realizzare innovazioni di prodotto. «In quel periodo la crescita del business P&G aveva subito un rallentamento rilevante», spiega Elisabetta Russo, responsabile del progetto per l’Italia. «Sapevamo che dovevamo accelerare lo sviluppo, l’innovazione e aumentare il suo tasso di successo sul mercato. Con il mondo che progrediva e cambiava sempre più velocemente, era chiaro che la soluzione era “collaborare” e superare la sindrome del “non inventato internamente” o meglio “non inventato solo internamente”. Così abbiamo introdotto Connect + Develop, in questo modo i nostri ricercatori sparsi per il mondo non erano più solo 8 mila, ma potenzialmente milioni». Dopo aver raggiunto, già nel 2005, l’obiettivo di realizzare il 50% dell’innovazione attraverso collaborazioni esterne, nel 2010 P&G si è lanciata nella sfida di triplicare l’apporto di queste collaborazioni, per raggiungere ogni anno 3 miliardi di dollari di fatturato grazie al programma. È proprio all’interno di Connect + Develop che è nata anche la collaborazione con un’azienda concorrente. «Il gruppo stava lavorando a un progetto di espansione della linea Swiffer quando scoprì un piumino catturapolvere davvero eccellente, venduto in Giappone e prodotto da Unicharm», racconta Russo. «Questo piumino, unito alla tecnologia catturapolvere Swiffer, venne testato con i consumatori dando ottimi risultati. Allora, siccome Unicharm non aveva intenzione di produrre e commercializzare il piumino al di fuori del Giappone, stipulammo un accordo di collaborazione per portarlo in nuovi mercati».
E SE CI SCAMBIASSIMO I MANAGER? Ma la cross-innovation va anche al di là del prodotto. Tutto è incrociabile. Anche i manager. Negli Stati Uniti Google e Procter & Gamble, ci hanno provato già nel 2008, mettendo in atto uno scambio temporaneo dei dirigenti per innescare progetti di open innovation. Due dozzine di dipendenti delle due società hanno speso settimane partecipando ai programmi di training e alle riunioni per la definizione dei business plan, imparando gli uni dagli altri e innovando i rispettivi approcci, soprattutto sul fronte del marketing.
MA I MANAGER NON SONO PRONTI |
Se il mercato va in questa direzione, purtroppo il management italiano non sembra ancora pronto a deviare dagli schemi ormai consolidati. Da un sondaggio condotto da Manageritalia è emerso che oltre il 60% dei 1.294 manager intervistati non sarebbe disponibile a collaborare con i concorrenti per sviluppare innovazione, e un altro 33,6% si è detto scettico all’idea di creare comunità professionali aperte alla partecipazione di soggetti esterni.Fonte: Osservatorio Manageriale Manageritalia (indagine su 1.294 manager giugno/luglio 2012) |
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