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Fortunati precari
Il precario è fortunatissimo, non ha padrone e non ha schiavi. È questa la visione di Oliviero Toscani, guru della comunicazione che ha fatto della provocazione il proprio registro espressivo
Non parlategli di Bocconiani, li definisce una vera disgrazia. Non provate a dirgli che è un uomo di business, si definisce un fortunato precario. Non nominate statistiche e fatturati perché ritiene che gli unici risultati chiari siano quelli falsificati. E soprattutto non mettete in dubbio il fatto che la provocazione sia l’unico modo per generare interesse nel proprio interlocutore. Oliviero Toscani non ammette repliche alla sua visione della comunicazione. E di fronte a quanti criticano il suo lavoro si mette a ridere. Del resto, non ci si potrebbe aspettare altro da colui che ha scritto “Chi mi ama mi segua” sul primo piano del sedere di una modella, ha mostrato un neonato all’atto del parto e più recentemente ha spogliato due bambini facendogli interpretare il ruolo di carnefice e vittima di abusi sessuali.
Lei in passato ha definito la comunicazione “una forma moderna di azione culturale” e ha trasformato la pubblicità da messaggio commerciale in mezzo di informazione. Ma fare “un’azione culturale” serve a vendere i prodotti?Vendere i prodotti è un’azione culturale. Il mercato è il centro della cultura umana. È lì dove ci si esprime, dove si mette il proprio prodotto a disposizione di chi lo capisce e lo vuole comprare.
In questo senso l’azienda ha un ruolo sociale?Perché non dovrebbe averlo. Ci sono aziende che hanno 30/40.000 dipendenti, dialogano con i sindacati, creano lavoro. Sono dei veri e propri centri socio-culturali.
La sua comunicazione ha spesso giocato sulla provocazione. Per citare solo i casi più recenti la campagna di sensibilizzazione sulla violenza alle donne realizzata per Donna Moderna o quella sull’anoressia di Nolita. Per quale motivo sceglie sempre la via dell’aperto confronto?Tutti ricorrono alla provocazione. Già nel momento in cui una persona comunica provoca, perché comunicare vuol dire generare dell’interesse. Ci sono aziende che investono molto e sono capaci di generare il confronto. In altri casi manca la capacità di comunicare, allora si buttano via i soldi senza trasmettere nulla che valga la pena di recepire. Come fanno le grandi istituzioni. Come fanno i Governi.
Collabora spesso con le istituzioni?Non spesso, recentemente ho realizzato una campagna per il Ministero della Sanità. In genere le istituzioni vogliono solo far vedere che investono denaro per comunicare, non vogliono avere problemi. Del resto le istituzioni sono guidate da persone senza talento, che si buttano nella politica. Non hanno un mestiere, non hanno nessuna competenza artistica e sono lì a decidere che cosa gli altri dovrebbero fare senza sapere realmente che cosa loro, per primi, sanno fare.
Ma se il committente non ha competenze in ambito artistico, dovrebbero in teoria interferire meno nel suo lavoro…Proprio chi non ha niente da fare e non sa fare bene il suo mestiere va a interferire con chi ha una professionalità diversa. Il mio lavoro consiste nel realizzare immagini. Chiunque mi può dare un giudizio, dirmi se una fotografia gli piace oppure no. Eppure siamo alla mercè di gente incompetente che per il fatto di ricoprire un ruolo di responsabilità, si sente autorizzata a dire delle gran cazzate.
In questi casi come ci si comporta?Si ride.
Adesso può permetterselo, ma anche all’inizio della sua carriera poteva?Ora è più difficile. Quando avevo 20 anni prendevo e me ne andavo via. Non ho mai avuto paura di perdere il lavoro e morire di fame. Anzi, perdere il lavoro è una scelta. È tutta una vita che sono precario, precario estremo. Tutti i fortunati sono precari, ma non tutti i precari sono fortunati. Il precario è fortunatissimo, non ha padrone e non ha schiavi.
A proposito del centro di ricerca La Sterpaia ha detto: «È un punto d’incontro tra creatività e imprenditorialità, tra formazione e produzione, arte ed economia attraverso la comunicazione intesa come espressione di una nuova cultura industriale». In che modo è possibile coniugare cultura e industria?Oggi è una cosa molta rara che la creatività arrivi a rappresentare il 50%, forse di più, di un progetto. Mentre i grandi imprenditori, quelli grandi sul serio, rischiavano e avevano capacità di visione, spirito di ricerca e coraggio nell’affrontare l’avventura. E poi c’era grande imprenditorialità intesa come volontà di concretizzare i propri sogni. Del resto chi sono i veri imprenditori? Coloro che possono realizzare ciò che sognano a occhi aperti.
Lei parla al passato. Oggi manca questa capacità?In Italia particolarmente. Le ricerche di mercato non aiutano il coraggio. La statistica non è reale, anzi forse gli unici risultati veri delle statistiche sono quelli falsificati. I manager sono la grande rovina dell’Italia. Sono degli incompetenti che fingono di essere competenti. La nostra prima università, quella di eccellenza (la Bocconi, ndr) è 48esima nella classifica dei migliori atenei al mondo (stilata dal Financial Times, ndr). Non accetterei mai di andare in un’università che è 48esima al mondo e non mi darei delle arie per averla frequentata. Purtroppo il sistema educativo italiano dell’economia si basa solamente sul risultato economico. Ma l’economia non può essere solo questo; è educazione scolastica, etica, arte, tutti fattori che non sono neppure presi in considerazione. Sono andato a tenere un paio di lezioni alla École Normale Supérieure di Parigi e ho visto un altro livello di impegno, di educazione e di rispetto.
La Sterpaia è un progetto che vede all’opera giovani under 25 selezionati come talenti creativi tramite università e scuole d’arte. Cosa pensa delle nuove generazioni di creativi?Credo che le nuove generazioni siano più informate di quanto lo eravamo noi, ma anche più miti e arrendevoli.
Non sono capaci di provocare?Non sanno neanche perché dovrebbero. La tecnologia li rende pigri, particolarmente pigri. Credono che la ricerca sia un genere compiuto, ma quella è la ricerca accessibile a tutti, anche ai deficienti. Forse è proprio così sono deficienti nel senso di deficiere, mancare di un disagio vero. Noi avvertivamo un malessere fisico a cui abbiamo reagito facendo in modo che le nuove generazioni non lo avessero. In realtà abbiamo creato, però, un disagio di tipo diverso, esistenziale. Ecco perché i giovani godono del problema del riscaldamento del mondo, dell’ecologia, hanno bisogno di qualcosa che gli permetta di scaricare le tensioni.
Come è possibile superare questa mitezza?È sufficiente stimolarli, perché rispondono subito allo stimolo. Se lascia un allevamento di cavalli da corsa al pascolo, non saprà mai se possiede un campione. I cavalli da corsa come i giovani devono essere messi nella condizione di poter esprimere il loro potenziale.
È questo ciò che fate alla Sterpaia?Sì, spingi spingi per vedere chi è da corsa e non si ferma mai e chi preferisce il pascolo. Questo non vuol dire fare discriminazioni. Hanno capacità applicate diverse. Ma sono già ragazzi molto fortunati perché si occupano di ciò che hanno scelto. E non ho pietà di chi ha avuto la possibilità e il privilegio di scegliere il proprio lavoro.
La mancanza di creatività sembra colpire più l’Italia dell’estero. Nelle ultime edizioni del Festival della pubblicità di Cannes i riconoscimenti assegnati all’Italia sono stati veramente pochi. Perché? È possibile invertire il trend?Manca il coraggio, gli imprenditori e i committenti non vogliono rischiare. Il nostro popolo non è mai brillato in questo senso. Eppure la creatività esige il coraggio di rischiare di esprimere e di fare dei progetti, anche se l’obiettivo è solo quello di confermare un potere. L’arte ha storicamente avuto la funzione di dare una forma estetica al potere.
Analogamente una grande impresa italiana non potrebbe avere il desiderio di creare un bel prodotto creativo per affermare nel tempo la propria potenza?No, finché ci sono manager che lavorano con un orizzonte temporale di sei mesi. In passato si costruiva con grande impegno per creare palazzi che restavano nel tempo. Oggi costruiamo con il minimo sforzo, nel modo meno costoso, e creiamo opere miserabili. Non ci dobbiamo stupire poi se i turisti non vengono a visitare l’Italia. L’architettura è esemplificativa del risparmio culturale in atto. Che cosa abbiamo realizzato nell’arte, nella musica, nel cinema, nell’imprenditoria? Cos’è la grande impresa italiana moderna? Forse resiste nella componentistica. Ma la Fiat non è paragonabile alla Toyota, che sta facendo grandi ricerche nell’ambito del consumo. La Fiat non riuscirà a compiere il risanamento definitivo. Avrebbe potuto puntare sulla tecnologia, l’elettronica, creare una visione, magari rinunciando alle grande dimensioni ma puntando sulla modernità. Gli Stati Uniti vivono dei diritti di copyright, delle opere dell’ingegno, l’Italia invece ha puntato sulla moda, un prodotto che non ha futuro.
Ma la situazione non cambierà?Se ci sarà una caduta verticale dovremo iniziare a fare qualcosa. Non sono pessimista, quando ci si rende conto che le cose vanno male è giunto il momento di cambiare.
In passato ha dichiarato: «Chi decide la comunicazione delle aziende normalmente è l’amministratore delegato che quando va bene ha studiato alla Bocconi di Milano. Quindi non ha alcun senso estetico, ha solamente la volgarità di chi si interessa esclusivamente all’economia».Non rinnego una parola.
È per sfuggire alla volgarità di chi decide la comunicazione delle aziende che ha creato La Sterpaia Media, che si occupa della consulenza per la pianificazione e acquisto dei mezzi? Per garantire una corretta copertura e visibilità alle sue campagne?No, non è per controllare. Ci sono anche committenti intelligenti, che sono quelli disponibili a imparare da un mestiere che non è il loro. Quando lavoro con un’azienda voglio capire in che modo fanno le loro scarpacce o le loro scarpe meravigliose. Perché ogni azienda crede nei propri prodotti, ma tra una e l’altra c’è una differenza incredibile. L’imprenditore e il manager non dovrebbero mai interferire nell’operato di chi hanno scelto. È come se dovessi dire al chirurgo che mi sta per operare: non tagliare qua, ma taglia lì. È assurdo. Chi collabora con un’impresa deve fidarsi dei propri collaboratori.
Di cosa si occupa la Sterpaia Media?La Sterpaia Media è un dipartimento della Sterpaia che si occupa della gestione dei media sui quali vanno pubblicati i lavori della Sterpaia.
Ma perché avvertivate l’esigenza di creare questa divisione?Perché inevitabilmente la scelta del media determina una grande influenza sul risultato finale, sull’impatto della comunicazione. È strategica. (Precisa Niccolò Donzelli, ceo e general manager di La Sterpaia: «È per questo motivo che lavorerà sia per i clienti di La Sterpaia, in un’ottica di allargamento dei servizi, sia per altre realtà che abbiano dei budget importanti e attribuiscano un peso importante alla scelta dei mezzi, tradizionali e innovativi).
Chi sono i vostri clienti?Non abbiamo clienti, abbiamo committenti. Anzi, abbiamo una via di mezzo tra pazienti e committenti, pazienti nel senso che hanno pazienza e si lasciano curare, educare. Tra questi ci sono: Genertel, MusicBox, il gruppo Terra Moretti, il Gruppo Pam, Donna Moderna, Snai, Gruppo Flash & Partners (di cui fa parte il marchio Nolita), Sebach, l’Inter e tanti altri.
Se dovessimo fare un identikit del committente ideale, che caratteristiche avrebbe?È intelligente ed esigente, ti chiede sempre di più.
L’ultimo lavoro che avete concluso è un documento per il centenario di Fc Internazionale Milano.Abbiamo realizzato un libro celebrativo, edito da Skirà. Ci sono voluti sei mesi di lavoro negli archivi per ricostruire la storia della società che corre parallela alla storia d’Italia. Sono molto fiero di questo lavoro.
Quali sono le campagne che le hanno dato più soddisfazione?Mi ritengo molto fortunato. I miei lavori sono quasi tutti fonte di soddisfazione.
E come misura la soddisfazione?È una triangolazione di vari fattori. Non è la realizzazione economica come può esserlo per un manager. Non è neppure l’approvazione del pubblico. Un buon lavoro deve avere una giustificazione e un impatto culturale, essere contemporaneo nel senso di appartenere alla modernità. Può anche essere problematico, frutto di un confronto. La campagna Nolita mi ha dato grande soddisfazione perché ha avuto il massimo successo con il minimo dell’investimento: 100 affissioni a Milano, 60 a Roma, una inserzione su La Repubblica e una su Il Sole 24 Ore, un solo scatto. E in due giorni ne parlava tutto il mondo. Se riesci a mettere insieme tutti questi cortocircuiti non è male.
LE PASSIONI DI OLIVIERO TOSCANI | ||
Libro I fiori del male di Charles Baudelaire | Sportivo preferito Mohammed Alì | Hobby È la mia vita, ma allevo cavalli e produco olio e vino |
Film Limonata Joe, un film scritto e prodotto dalla scuola di cinematografia di Praga. È del 1961 ed è una parodia del western all’americana con il colore che sottolinea le scene di virtù, d’amore ecc. | Musica Musica etnica africana che è il jazz, la madre di tutte le musiche. Tra i Beatles e i Rolling Stones, indubbiamente gli Stones | Luogo Casa mia, non vado mai in vacanza. Se andassi in vacanza vorrebbe dire che non sto bene a casa mia |
Vino Pinot nero francese | Piatto Risotto al salto |
Oliviero Toscani