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Eccellenze italiane: alla scoperta del tessile made in Italy

Lo scorso anno il settore ha performato meglio del periodo pre-pandemico. Un exploit frutto della capacità delle imprese tricolori di innovare e conquistare i mercati esteri. Alla ricerca, però, di una maggiore sinergia

architecture-alternativo © iStockPhoto

Non è una questione di lana caprina – per marcare subi­to il campo – mettersi a ra­gionare su ciò che sta die­tro i dati, e non soltanto sui dati, che raccontano l’exploit 2022 del set­tore tessile made in Italy. Molti economisti se lo aspettavano: perché è fisiologico che una curva a picco poi risalga e dia il meglio di sé e perché la moda è e resta una delle eccellenze italiane della nostra economia.

L’aria è cam­biata in meglio dalla fine della pandemia, ma i venti freddi che si erano infiltrati nel 2020 avevano scosso il settore. In Italia, se parliamo di moda, non possiamo non par­lare di manifattura e tessile: un settore che nel 2022 segna 21 miliardi di fatturato, con un +18,9% rispetto al 2021, e 11,5 miliardi per l’export, anche lì con un ingente +18,2% sull’anno precedente. Dati che si riferiscono alle 10.309 imprese coinvolte nel comparto, pari al 24% di tutto il settore abbigliamen­to e che impiegano 113 mila addetti, il 30,6% del totale (Fonte: Sistema Moda Italia).

Le aree su cui storicamente insistono i distretti trainanti di molte eccellenze italiane del tessile vedono in Biella, Vicenza e Prato le regine della lana, la seta spopola nella zona di Como, l’intera Lombardia (con la Brian­za in testa) genera invece il successo dei co­toni. Tutte le filiere di produzione del tessile legate al luxury e all’high profile trovano casa in quei distretti, su cui lavorazione e nobilitazione dei tessuti esiste in certi casi persino dal 1600 e dove la presenza dei corsi d’acqua ne ha generato la forza.

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Nel mondo è forte l’interesse per le eccellenze italiane

Alla fonte dei dati ufficiali c’è Confindustria Moda, la federazione italiana che riunisce le associazioni dei settori tessile, moda e accessorio (Tma). Il fatturato di 107 miliardi di euro del 2022 ha segnato un aumento del 16% rispetto all’anno precedente, non solo azzerando il ritardo registrato nel triennio pandemico ma andando ben oltre un semplice recupero. «Nel mondo continua a essere forte la voglia di Made in Italy. Il recupero è avvenuto in un contesto non propriamente favorevole, perché sui bilanci delle aziende hanno pesato il costo dell’energia e delle materie prime, fattori che hanno messo a rischio non solo la capacità delle aziende, in particolare delle pmi, di investire per il futuro, ma la sopravvivenza stessa delle attività. Al contempo, il conflitto in Ucraina ha avuto ricadute economiche molto pesanti su alcune realtà produttive che erano particolarmente esposte verso certi mercati e, tutt’oggi, sono impegnate nella ricerca di nuovi sbocchi per sopperire a queste perdite», dichiara Ercole Botto Poala, presidente di Confindustria Moda.

Eppure, a volte non bastano le variabili esterne favorevoli: il successo occorre andarselo a prendere, soprattutto in settori a forte vocazione competitiva come quello del fashion. «Ha inciso positivamente la grande capacità di conquistare i mercati esteri, dove viene prodotto oltre il 70% del fatturato totale. La Francia si è confermata in cima alla graduatoria, mentre la Svizzera è al terzo posto: entrambe le destinazioni sono tradizionalmente legate ai flussi di rientro delle lavorazioni per le multinazionali del lusso. Risultati premianti sono stati conseguiti negli Usa, in Sud Corea, negli Emirati Arabi e in Turchia. La Germania, invece, è la quarta destinazione per l’export del Tma. In ripresa – dopo il marcato rallentamento primaverile della domanda causato dai lockdown imposti dalle autorità in diverse importanti città per affrontare le diverse ondate pandemiche – le vendite in Cina. Si sono, inoltre, registrati recuperi per il Regno Unito, ripartito dopo il crollo post-Brexit, e anche per il Giappone».

Conforta anche l’analisi operata per settori merceologici, sempre rispetto al 2019: +33,6% per la tessitura a maglia, tessuti in lino a +28,6% e +8,6% per quella in cotone. «Questo dinamismo del nostro Tma è sicuramente frutto della capacità delle imprese italiane di creare e innovare, produrre cultura e bellezza, attraendo l’attenzione e la spesa di consumatori nei mercati più diversi», aggiunge Botto Poala. «Questo asset, unico al mondo e da tutelare a ogni costo, va però accompagnato da una capacità di presidiare in mercati esteri in maniera più strutturata e capillare per crescere come quote di mercato».

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Lavoro e formazione nelle eccellenze italiane della moda

Rigenerare un settore vuol dire investire sulla cultura del lavoro, sulla formazione, sul management, sull’orientamento. I buoni numeri di tante eccellenze italiane da soli non bastano. Ne è convinto Marco Crisci, manager, consulente e docente in fashion business management al Polimoda di Firenze. «La moda si sta sempre più professionalizzando e sta diventando sempre più industria. Se fino a vent’anni fa, anche trenta, poteva essere una forma di business considerata anomala, adesso la competizione non è più un gioco in cui si vince per la maggiore creatività; le regole che vigono oggi sono le stesse degli altri settori industriali, dalla meccanica all’elettronica all’automotive. Oltre al fatto che quei settori sono diventati, a loro volta, più di moda. D’altro canto, gli stessi fatturati dei grandi marchi del fashion si allineano ormai a quelli dell’industria classica, Louis Vuitton su tutti coi suoi 20 miliardi annui».

Abituati per errore ad associare la moda a un valore impalpabile, fatichiamo anche a sondare gli ingressi formativi e gli sbocchi professionali. Come orientarsi? «Fare educazione ai giovani, sul piano professionale, è completamente cambiato», spiega Crisci. «Chi si avvicinava al Polimoda 15 anni fa, quando ho iniziato a insegnare, lo faceva perché era un settore leggero, divertente, creativo, insomma ci si dava un tono a dire che si studiava lì. La trasformazione motivazionale è stata impressionate e senza distinzione di nazionalità: hanno oggi la consapevolezza di fare un investimento in carriera come poteva essere dieci anni fa con un master in Bocconi per la finanza. Oggi pretendono risposte e formazione, non si accontentano più delle storie».

Tendenze che vanno e vengono, e fenomeni che accendono entusiasmi, fanno parte della fisiologia di questo mercato. Negli ultimi anni ancora di più. «Siamo passati dalla possibile frontiera dell’abbigliamento aerospaziale, seguendo gli slanci di Elon Musk, agli Nft (non fungibile token), dal Metaverso alla più recente ondata di A.I., che preoccupa non poco: la questione è che spesso ci sono sopravvalutazioni sia della portata che della funzionalità e opportunità di certe innovazioni, che creano confusione e disorientamento nella percezione dei giovani su cosa sia il mondo in generale, e il mondo della moda in particolare. Quanto agli sbocchi non ci sono mestieri invisibili, i lavori sono sempre gli stessi, quello che non ha ancora trovato completa espressione sono le skill, cioè la conoscenza della centralità del legame tra manualità e tecnologia avanzata, e la mentalità e predisposizione all’alfabetizzazione tecnologica. Credo sia basilare conoscerla e utilizzarla, ma senza farci abbagliare dal suo trend di brevissimo termine. Le sfide, insomma, sono comuni a molti altri settori, ma senza perdere mai il bisogno di saper usare ancora a una macchina da cucire».


Questo articolo è tratto da Business People di luglio-agosto 2023, scarica il numero o abbonati qui