Arte
Max Ernst: un umanista a Palazzo Reale di Milano
Una mostra, la prima retrospettiva in Italia, racconta il poliedrico artista attraverso oltre 400 opere
Pittore, scultore, poeta e teorico dell’arte tedesco poi naturalizzato americano e francese, Max Ernst (1891-1976) è figura straordinariamente poliedrica ma ancora poco nota nel nostro Paese: ecco perché la mostra che ora Milano gli dedica, al piano nobile di Palazzo Reale, è certamente significativa (e non solo perché è la sua prima retrospettiva in Italia). Prodotta da Palazzo Reale con Electa e curata da Martina Mazzotta e Jürgen Pech, presenta oltre 400 opere tra dipinti, sculture, disegni, collage, fotografie, gioielli e libri illustrati provenienti da musei, fondazioni e collezioni private, come la Peggy Guggenheim Collection, la Tate Gallery di Londra, il Centre Pompidou di Parigi (da questo mese e fino al 26 febbraio).
Tra i lavori in mostra, scanditi in nove sale tematiche che seguono i quattro periodi della lunga vita dell’artista, un’ottantina di dipinti e documenti non vengono esposti al pubblico da parecchi decenni. L’immensa vastità di temi e sperimentazioni dell’opera di Ernst si spalma su 70 anni di storia del XX secolo, tra Europa e Stati Uniti, sfuggendo costantemente a una qualsivoglia definizione: visionario, artista-filosofo, alchimista del colore e delle teorie della percezione, Max Ernst viene presentato in questo contesto (finalmente) come un “umanista” nel senso più ampio del termine, un titolo più che meritato.
Il percorso espositivo, che parte con il capolavoro Oedipus Rex, dipinto giusto un secolo fa, comincia dalla formazione in Germania, con lo shock della guerra e l’approdo al Dadaismo per poi passare, nelle due sale successive, agli anni francesi, ai tanti amori, alle sperimentazioni del Surrealismo. Sotto il nazismo, Ernst deve scappare dall’Europa e per convenienza sposerà per breve tempo la ricca collezionista americana Peggy Guggenheim (prima del grande amore con Dorotea Tanning, squisita e originale artista): approda a New York e poi in Arizona dove la natura e le riflessioni sulle forme del paesaggio, in perenne bilico tra realtà e fantasia, caratterizzano la sua prolifica produzione.
Questo artista ha cento vite e dopo il periodo americano, ormai da riconosciuto maestro, torna in Europa a metà degli anni 50: le sue creazioni guardano ora all’antico, si concentrano sul tema della memoria, l’arte diventa veicolo per rileggere il passato e intuire il futuro. La conclusione degna di un percorso così denso e affascinante sta nel finale, con lo sguardo di Ernst rivolto alle stelle e a un cosmo tutto da ammirare.