Sostenibilità
Sostenibilità: manager ottimisti ma non troppo
Sulla teoria sembra esserci ormai una consapevolezza diffusa tra dirigenti e imprese, ma resta ancora molto da fare per la messa in atto di strategie efficaci. Lo confermano i report di BCG e Deloitte
Il cambiamento climatico è la sfida per eccellenza nell’immediato futuro. Le aziende e i manager ne sono in larga parte consapevoli. E questa è la buona notizia. Sul mettere in campo strategie efficaci per misurare e abbattere le proprie emissioni, però, si può (e si deve) lavorare ancora parecchio. A dirlo sono due report di Boston Consulting Group e Deloitte, che hanno evidenziato come, all’estero come in Italia, si faccia ancora troppa fatica a cogliere la grande opportunità, anche economica, che deriva da politiche più green. Il Carbon Emission Survey Report 2022 di BCG parla chiaro. La ricerca, condotta fra 1.600 organizzazioni in 18 Paesi e 14 settori diversi, responsabili di circa il 40% delle emissioni globali, ha evidenziato come appena il 10% di queste abbia adottato step concreti per la misurazione della propria messa in circolazione di gas complessiva. Un miglioramento di un punto percentuale rispetto al 2021, ma ancora troppo poco se si pensa alla “data fatidica” del 2050, quando le emissioni nette dovrebbero arrivare a zero, realizzando quella condizione per la quale per ogni tonnellata di anidride carbonica o di un altro gas serra che si diffonde nell’atmosfera, se ne rimuove altrettanta.
L’analisi di Bcg è particolarmente importante, perché mette in evidenza due aspetti chiave. Il primo sono i ritorni monetari che vengono realizzati nel momento in cui si mettono in campo strategie efficaci per l’abbattimento delle emissioni. Il secondo sono gli errori che vengono commessi maggiormente quando si calcola la fuoriuscita di sostanze gassose nocive per l’atmosfera. Per quanto riguarda il primo punto, il progresso è lento, ma significativo. Il report evidenzia una presa di coscienza del fatto che più un’azienda misura le proprie emissioni in modo corretto, più ci guadagna. Del 10% di società virtuose menzionato prima, il 64% di quelle che hanno misurato la portata totale delle loro emissioni e il 45% che hanno fatto la stessa operazione, ma sulla portata parziale, non solo hanno avuto successo per quanto riguarda la riduzione della diffusione di gas inquinanti. Il 43% ha registrato un aumento nelle entrate e il 37% ha notato che, con queste politiche è riuscito ad attirare nuovi talenti, oltre a un miglioramento della reputazione, segnalato dal 54%. Tradotto in cifre, il 70% degli intervistati prevede almeno un milione di dollari di benefici annuali derivanti dalla riduzione delle emissioni, con il 37% che li stima fino a 100 milioni di dollari o più.
«Misurare le emissioni delle aziende», spiega a Business People Roberto Ventura, Managing Director e Partner di BCG, «è la chiave per accelerare il processo di decarbonizzazione in tutti i settori, ma non è semplice: oltre i due terzi delle grandi imprese non conoscono ancora il proprio impatto ambientale. Eppure, i risultati delle nostre analisi dimostrano come le attività di misurazione e riduzione delle emissioni facciano bene sia al pianeta che alle stesse aziende, permettendo loro di ridurre i costi e migliorare la propria reputazione. Al momento le realtà più attive nella misurazione delle proprie emissioni appartengono al settore energetico, edile, automobilistico e finanziario».
C’è poi la questione metodologica, che ha altrettanta importanza. Ben l’88% delle aziende intervistate per il report, ritiene che le emissioni più importanti da abbattere siano quelle appartenenti allo scope 1 e 2, rispettivamente le emissioni dirette generate dall’azienda, la cui fonte è di proprietà o controllata dall’azienda, e, nel secondo caso, le emissioni indirette generate dall’energia acquistata e consumata dalla società. Appena il 12% prende in considerazione le emissioni derivanti dallo scope 3, ossia tutte le altre emissioni indirette che vengono generate dalla catena del valore dell’impresa. Un aspetto su cui lavorare, se si conta che proprio questa terza categoria vale ben il 92% delle emissioni prodotte.
E in Italia? La presa di coscienza della situazione c’è, ma si può fare di più. Secondo il CxO Sustainability Report 2022: The Disconnect Between Ambition and Impact , realizzato con oltre 2 mila interviste ai leader aziendali di 21 Paesi, fra cui il nostro, mostra come il 96% dei vertici aziendali italiani ritenga che quella del clima sia un’emergenza mondiale già in atto. Ben otto su dieci affermano di essere stati colpiti da eventi climatici estremi nell’ultimo anno. Se le posizioni apicali hanno ben presente la portata del problema, all’interno dell’azienda la preoccupazione per il cambiamento climatico è minore rispetto alla media globale, attestandosi al quintultimo posto e con un 55% rispetto al 65% mondiale. La buona notizia è che ben il 66% è a ncora determinato a mettere la lotta al climate change al centro degli obiettivi di business dei prossimi tre anni e che nella pratica, che poi è la cosa più importante, sono allineate alla media globale nell’implementare misure che possano rendere la loro attività più sostenibile.
Per quanto riguarda l’impegno nostrano, le scelte che vengono operate più spesso al primo posto c’è utilizzo delle energie rinnovabili e qui facciamo la parte dei primi della classe, visto che se ne avvale il 60% delle aziende italiane contro il 48% della media mondiale. Maggiore sensibilità rispetto al resto del mondo anche per quanto riguarda l’acquisto di nuovi prodotti o servizi climate friendly (56% rispetto alla media globale del 48%). «È importante agire e agire adesso», spiega Franco Amelio, Sustainability leader di Deloitte Italia. «Le imprese possono giocare un ruolo davvero importante nell’imprimere la svolta decisiva al cambiamento climatico, adottando azioni concrete e introducendo soluzioni durature a beneficio di tutta la comunità». Bisogna darsi da fare, insomma. Nel suo report Deloitte evidenzia come le imprese debbano assolutamente definire e realizzare una strategia di sostenibilità, dotandosi di una governance che consenta la misurazione e il raggiungimento degli obiettivi prefissati. A questo proposito, il report evidenzia cinque azioni che, se portate avanti insieme, possono aiutare la costituzione di una filosofia green sul lungo periodo. La prima è lo sviluppo di prodotti e servizi climate friendly . La seconda consiste nel richiedere a partner e fornitori di osservare specifici criteri di sostenibilità. La terza è un investimento sulle strutture, per renderle più resistenti ai cambiamenti climatici. La quarta consiste nel tenere sempre ben presente l’elemento sostenibilità anche nelle comunicazioni verso l’esterno. La quinta prevede di legare i compensi dei manager alle performance delle politiche di sostenibilità.
C’è, infine, un punto in comune fra i due report. Entrambi evidenziano come parte delle aziende non abbia ancora capito che le politiche green convengono, anche economicamente. Se questo succede è anche perché i costi a breve termine verso un futuro a basse emissioni di carbonio vengono percepiti ancora come particolarmente onerosi. Il rischio è che la situazione internazionale, che da mesi attraversa una fase di grande difficoltà, e che ha dirette ripercussioni su quella economica, possa ritardare processi che, invece, al contrario andrebbero accelerati.
Questo articolo è stato pubblicato su Business People di gennaio-febbraio 2023. Per leggere la versione completa e approfondire altri temi della rivista, puoi scaricare il numero in versione digitale cliccando qui