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Arte

Fondation Beyeler in festa per i suoi primi 25 anni

La fondazione svizzera ha celebrato questo importante anniversario con la più grande mostra mai allestita sulla sua collezione permanente e sta lavorando per ampliare i propri spazi espositivi

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La Fondation Beyeler si scorge appena, dalla strada che attraversa la cittadina di Riehen, raffinato borgo punteggiato di casette bianche, giardini e gallerie d’arte. Siamo a una manciata di chilometri da Basilea, pochi passi e si è in Germania oppure in Francia: qui, tra campi coltivati, pascoli e deliziosi vigneti, all’inizio della Foresta Nera, in questa terra di confini e di passaggi, di scambi e di incontri, sorge uno dei centri d’arte moderna e contemporanea più apprezzati al mondo. Non è un’iperbole. Chiunque sia mai stato alla Beyeler, difficilmente dimenticherà lo speciale connubio tra natura e architettura, tra arte contemporanea e paesaggio, tra mostre di ricerca e progetti aperti a un pubblico il più trasversale e variegato possibile.

Basta varcare il cancello per trovarsi nel mezzo di un parco idilliaco, con tanto di stagno con ninfee: Renzo Piano, con il suo genio, ha progettato la sede, una struttura che si snoda attraverso sale ampie e luminose, perfette per accogliere la corposa collezione permanente e le esposizioni temporanee che, da 25 anni a questa parte, fanno della Fondation Beyeler una tappa obbligata (e ambita) per qualsiasi appassionato d’arte. La natura e l’architettura sono ingredienti importanti, ma l’anima della fondazione è quella di Ernst Beyeler (1921-2010), gallerista svizzero tra i più lungimiranti del suo tempo (uno dei primi, per dire, a credere al talento di Picasso) e nel 1970 cofondatore della fiera d’arte di Basilea, attualmente la principale nel settore.
Ernst Beyeler e la moglie Hildy, prima negli anni difficili del Dopoguerra e dopo nel periodo del boom economico, sono riusciti a dar vita, con il giusto intuito, un gusto raffinato e innegabili capacità imprenditoriali, a una delle collezioni d’arte moderna e contemporanea più cospicue e importanti al mondo, con opere che vanno dall’Impressionismo al Post-Impressionismo, dalle avanguardie all’arte di oggi, per qualcosa che si aggira sulle 400 opere tra pitture, disegni, sculture, fotografie, installazioni, video. Un patrimonio unico e incredibile che i Beyeler hanno deciso di rendere fruibile a tutti con la creazione a Riehen della fondazione: era il 1997, un periodo in cui non era così frequente che un collezionista decidesse di aprire un suo spazio pubblico; le stesse fondazioni erano numericamente inferiori a quelle che oggi troviamo in giro, anche in Europa.

Quella della Beyeler è a tutti gli effetti una storia di un mecenatismo d’altri tempi, che ha saputo anticipare le tendenze senza subire il mercato, anzi orientandolo. Elencare i nomi e le opere degli artisti presenti nella collezione non avrebbe senso: sono sostanzialmente tutti i più grandi dalla metà Ottocento a oggi, da Cézanne a Degas, da Monet a van Gogh, da Kandinsky a Mondrian, da Warhol a Louise Bourgeois, da Giacometti a Marlene Dumas. Tuttavia, se proprio proprio dobbiamo citare un nome che emerge su tutti (per fama e numero di capolavori), questo è senza dubbio Pablo Picasso, di cui la Fondation Beyeler possiede 30 opere, configurandosi dunque come una delle più nutrite raccolte picassiane al mondo.

Questo articolo è tratto dal numero di Business People di dicembre 2022, per approfondire altri temi della rivista si può scaricare il numero in versione digitale cliccando qui

Che “un miracolo” simile sia accaduto a pochi chilometri da Basilea, non stupisce: la città è da sempre attenta al mercato dell’arte, feconda nel collezionismo e ricettiva verso la creatività e l’innovazione (basti pensare che, ancora oggi, ci sono circa 40 diversi musei nella città). A un quarto di secolo dalla sua nascita, e dopo che oltre un decennio è trascorso dalla morte del suo fondatore, la Beyeler continua ad ampliare la sua collezione e il prestigio della sua raccolta grazie a nuove acquisizioni. Questo “giubileo” – così chiamano il 25esimo anniversario – celebra anche l’ingresso di alcune nuove opere, come il delizioso dipinto di Pierre Bonard La Source ou Nu dans la baignoire, del 1917, e l’interessante installazione scultorea Poltergeist, realizzata un paio d’anni fa dall’artista inglese Rachel Whiteread.

Questo a dimostrare che la Beyeler è in continuo work-in-progress come comprende chiunque la visiti: pochi passi appena fuori dal suo grande parco e si vedono gli operai al lavoro. Un nuovo, enorme cantiere ha infatti aperto in zona: si sta realizzando un nuovo edificio museale, sempre all’insegna di un armonico abbraccio tra arte, architettura e natura, questa volta progettato dall’architetto svizzero Peter Zumthor, famoso per essere estremamente selettivo nei suoi lavori. La nuova Beyeler avrà spazi ancora maggiori per le mostre e per le varie attività culturali, per l’archivio e gli uffici e dialogherà a distanza con l’edificio di Renzo Piano.

Quanto tempo ci vorrà per vedere la nuova sede? «Non lo sappiamo, non abbiamo fretta», risponde pacato Sam Keller, direttore dell’iconica fondazione. Alla Beyeler interessano altre cose, e lo si capisce bene dal tipo di esposizione scelta per concludere questo anno di celebrazioni: la Mostra del Giubileo: special guest Duane Hanson si è presentata come la più grande mostra sulla collezione permanente mai allestita prima. Curata con intelligenza da Raphaël Bouvier, si snoda lungo una ventina di sale espositive: incontriamo, suddivisi per nuclei di uno stesso artista, i pezzi più significativi della collezione (Picasso, Cézanne, Monet, van Gogh, Giacometti, Klee, Mirò, Warhol, Rousseau, Bacon e altri ancora) affiancati da 13 sculture iperrealistiche dell’americano Duane Hanson (1925-1996), una sorta di “mostra della mostra” che genera fecondi dialoghi. Hanson, pioniere del realismo esasperato, crea delle figure umane a grandezza naturale in resina di poliestere (all’epoca un materiale innovativo): i suoi personaggi sono più veri del vero, ci spiazzano, ci confondono.
Chi sono? C’è una signora che spinge una carrozzina con un bambino tra le sculture di Giacometti, c’è una coppia che mangia a un tavolino davanti a Andy Warhol, c’è un ragazzo che pulisce i vetri accanto a Marlene Dumas, ci sono muratori con gli abiti sporchi alle spalle di Anselm Kiefer, bambini che giocano sotto un dipinto di Henri Rousseau, ragazzi dallo sguardo stravolto vicino a un trittico di Francis Bacon, e altro ancora.
Questo genere di umanità punteggia le varie sale e induce il visitatore a guardare con occhio diverso i capolavori esposti: davanti alle grandiose Ninfee di Monet, che si affacciano sulla vetrata che dà sullo stagno, troviamo un giardiniere sul tosaerba, mentre accanto alle intense opere di Rothko, in una sala che sembra fatta apposta per la meditazione, una coppia è seduta, stravolta, su una panca e quasi ci viene voglia di farle compagnia. All’inizio l’incontro con questi personaggi sorprende e diverte, ma poi genera malinconia. È questa la brutalità del quotidiano? La grande arte può riuscire a stemperarla? Per celebrare i suoi primi venticinque anni, la Fondation Beyeler non ha voluto far sfoggio di sé: ha preferito ricordarci che i musei e gli spazi culturali dovrebbero accogliere sì la bellezza, ma senza escludere l’umanità tutta, inclusa quella dolente.