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Attualità

RCS il bello deve ancora venire

Come è iniziata la battaglia per il primo quotidiano italiano, cosa c’entrano Generali e Banca Intesa, Mieli e de Bortoli. E a cosa punta Della Valle (e Montezemolo). Tutto quello che bisogna sapere sulla guerra nel “salotto buono”

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Se qualche vostro amico straniero un giorno, per caso, dovesse chiedervi che cos’è la Rcs MediaGroup, non rispondetegli: «La prima casa editrice italiana, una di quelle che contano anche a livello europeo, perché pubblica il Corriere della Sera, la Gazzetta dello Sport e, in Spagna, el Mundo, secondo quotidiano iberico; e, oltre a questo, possiede anche decine di testate periodiche e dà alle stampe, con vari marchi, libri di moltissimi autori, eccetera, eccetera». No, non usate questa spiegazione perché, anche se ineccepibile nella forma e corretta nella sostanza, non rappresenta in maniera esaustiva la realtà. Perché la Rcs, acronimo di Rizzoli-Corriere della Sera, è qualcosa di diverso, di più o di meno a seconda dei punti di vista. È una rappresentazione dell’Italia, della sua organizzazione del potere, e in fondo della pochezza del suo capitalismo. Sono anni che questa casa editrice è l’oggetto del desiderio dei cosiddetti salotti buoni. Da quando (negli anni ’70) la Rizzoli ebbe la malaugurata idea di fondersi con il Corriere della Sera, la casa editrice nata da questa unione che avrebbe portato alla rovina una della famiglie più ricche d’Italia, ha smesso di essere un’azienda come tante altre che opera nel settore dell’editoria e cerca di trarne un utile, o quantomeno di non chiudere in rosso. È uscita da quella che era sempre stata una condizione di normalità, ed è diventata una stanza di compensazione del potere economico-finanziario nazionale. Che al suo interno si associa, si dissocia, si misura si allea, si confronta. Sono passati personaggi di tutti i tipi nel palazzo di via Solferino 28 a Milano, storica sede del Corriere della Sera. Personaggi diabolici e pericolosi, come Bruno Tassan Din, braccio destro di Angelo Rizzoli, o di grande prestigio e riconosciuta leadership nazionale e internazionale, come l’avvocato Giovanni Agnelli, subentrato nella proprietà ai Rizzoli (e la vicenda è oggetto di una causa che si è trascinata per anni e minaccia tuttora di riaprirsi). Poi molti altri sono arrivati, dando vita a qualcosa che è un po’ un unico nel paesaggio imprenditoriale internazionale: una società condominiale di lusso.La Rcs MediaGroup è quotata in borsa. Ha però un flottante bassissimo perché la grande maggioranza dei titoli (una quota superiore al 75 per cento) è posseduta da un gruppo di signori che hanno formato fra loro un patto di sindacato, uno di quegli accordi proibiti nei mercati finanziari evoluti ma diffusi a casa nostra che permettono di governare le società senza essere infastiditi da azionisti di minoranza. Da chi è composto questo gruppo di personaggi? È noto a tutti: dal salotto buono. Ci sono Mediobanca, le Generali, Banca Intesa Sanpaolo, la Fiat, la Pirelli, Pesenti, Lucchini, Della Valle, Merloni; a questi bisogna aggiungere la famiglia Benetton e Giuseppe Rotelli, il re della sanità lombarda. Questi ultimi due stanno un po’ a parte perché non sono stati ancora ammessi nel sancta sanctorun, cioè nel patto di sindacato anche se controllano pacchetti di rilievo: Rotelli è il secondo singolo socio della casa editrice dopo Mediobanca. Stranezze del capitalismo.Che cosa ci fanno tutti questi signori che producono auto, cemento, polizze, scarpe e simili in un’azienda che fa giornali? E perché sono tutti lì insieme? È una bella domanda che viene posta con ricorrenza da anni. La spiegazione che si è sempre data è che la carta stampata attira i potenti perché dà visibilità, status, solletica le ambizioni e, in generale, essere editori fa sentire importanti. Soprattutto quando c’è in ballo il Corriere della Sera. Il quotidiano milanese è qualcosa di diverso rispetto ai suoi concorrenti. Ormai da qualche anno non è più leader assoluto nelle vendite in edicola ed è tallonato da vicino (talvolta anche superato) dal suo principale rivale, la Repubblica. Ma questo elemento non è decisivo: il Corriere rimane il Corriere, è il foglio della regione più prospera e avanzata d’Italia, è stato da sempre la voce della sua borghesia affluente, attira le firme e i collaboratori più prestigiosi, firmare sulle sue colonne è sinonimo di successo. Quindi controllarlo, o per lo meno essere della partita, è importante perché il Corriere, proprio per queste sue caratteristiche, è uno strumento decisivo per la formazione dell’opinione pubblica in Italia.Dunque è normale che tutti questi signori dei quali si è detto periodicamente cerchino di contare di più in quella strana stanza dei bottoni che è il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera. E qualche volta, anche se sono tutti distinti personaggi in gessato, dai modi misurati, si accapigliano. È successo di recente, nel febbraio scorso, e sembrava che stesse per scatenarsi un uragano destinato a travolgere gli equilibri faticosamente creati. Invece la quiete è tornata, anche se qualche avviso di tempesta c’è stato e la situazione potrebbe ritornare ballerina da un momento all’altro. Ma che cosa è successo? Che cosa ha turbato la quiete dei potenti che siedono al tavolo di comando della Rcs? Bisogna ritornare a un paio di anni fa quando gli azionisti del patto di sindacato decisero che era arrivato il momento di sostituire Paolo Mieli alla direzione del quotidiano di via Solferino. Il giornale non andava granché bene (perdeva copie in edicola) e la sua linea politica non era gradita alla maggioranza uscita vincente dalle elezioni. Come si ricorderà Mieli, poco prima dell’apertura dei seggi, aveva firmato un editoriale invitando i lettori a votare per il candidato del centro sinistra, Romano Prodi. Questo aveva irritato parte dell’elettorato del Corriere, non di sinistra e soprattutto non abituato a vedere il proprio giornale schierarsi apertamente per una parte politica. E aveva indispettito i vincitori delle elezioni, cioè Berlusconi e i suoi alleati.Così erano partite le grandi manovre per individuare un nuovo direttore per via Solferino. Operazione complessa, perché si tratta di trovare una quadra che metta d’accordo tutti gli azionisti, ognuno dei quali si sente l’unico, il vero editore cui spetta il diritto di scelta. Finché era vivo, era l’Avvocato a fare la nomina e nessun si permetteva la benché minima obiezione. Poi lo scettro è passato nelle mani di Cesare Romiti: mani robuste che sono riuscite a tenere salda la briglia per vari anni. Uscito Romiti, il gruppo Rcs si è trovato senza una leadership certa e accettata (sia pure scalpitando) e la situazione è mutata: ogni cambio di direttore del Corriere è diventata un’operazione di altra diplomazia, una trattativa più complessa della formazione di un governo ai tempi della prima Repubblica, tante sono le voci da sentire, i pareri da considerare, le aspirazioni da non deludere. Ed è stato così anche nel 2008. Diego Della Valle e Luca Cordero di Montezemolo, allora presidente della Fiat e dunque importante azionista Rcs, avevano individuato un candidato, loro strettissimo amico: Carlo Rossella. Erano anche riusciti a convincere Cesare Geronzi, allora presidente di Mediobanca e definito “il cardinale” della finanza per la sua provata abilità nella gestione del potere, che quello era il nome giusto. Ma quando hanno interpellato sull’argomento Giovanni Bazoli lo hanno visto alzare il sopracciglio. Un no netto, che silurava l’operazione: Bazoli, presidente di Intesa e della finanziaria Mittel (azionista Rcs) è uno dei personaggi di maggior rilievo del sistema economico italiano; è impossibile fare un’operazione contro di lui. E così la candidatura di Rossella è sfumata, al suo posto è stato nominato direttore Ferruccio de Bortoli, professionista di primissima qualità che già una volta aveva ricoperto quell’incarico. Della Valle, pur essendo estimatore di de Bortoli, ha comunque incassato una sconfitta perché il nome da lui sostenuto era un altro. Infatti, quando si è trattato di votare in consiglio per ufficializzare la scelta di de Bortoli, è stato l’unico ad astenersi.a oltre a questo c’è un altro elemento da considerare: Della Valle si è sentito in qualche modo tradito da Geronzi che non lo aveva appoggiato, affiancato per sostenere l’amico Rossella. Quella ruggine è riemersa nel febbraio scorso, di nuovo attorno al problema Rcs. Da tempo giravano voci che alcuni azionisti fossero scontenti della gestione di de Bortoli (per la verità eccellente) e volessero tentare un colpo di mano. Secondo i rumors, de Bortoli, sentendo odore di bruciato, era sensibile alle lusinghe di Carlo De Benedetti editore de la Repubblica, che avrebbe voluto portare nel suo giornale il direttore del Corriere, al posto di Ezio Mauro. E per la direzione di via Solferino era già partita la girandola della candidature che vedeva favorito il direttore della Stampa (il giornale della Fiat), Mario Calabresi. Insomma per l’ennesima volta gli azionisti del Corriere erano in movimento. A quel punto della Valle ha deciso di agire: il padrone della Tod’s nel corso degli anni ha investito 150 milioni di euro per comprare azioni della Rcs e sta registrando una minusvalenza astronomica. E non accetta che a prendere decisioni chiave, come quella della scelta del direttore, siano sempre degli altri che, pur rivestendo ruoli di primo piano nell’establishment finanziario, sono dei manager e non investono, non rischiano soldi propri. Così durante un consiglio di amministrazione delle Generali ha detto che non è più ammissibile che “due vecchietti” facciano il bello e il cattivo tempo in tutte le società italiane, a partire appunto da Rizzoli-Corriere della Sera. I due vecchietti sono Geronzi (ex presidente delle Generali) e Bazoli. In un successivo consiglio di amministrazione ha aggiunto che le Generali dovrebbero fare assicurazioni e abbandonare l’editoria. Quindi dovrebbero cedere le loro partecipazioni nel Corriere, andarsene e lasciare mano libera agli azionisti con più competenza. Grandi paginate su giornali e settimanali sulla guerra fra potenti: articoli, interviste, retroscena, gossip, dietrologie. Alla fine i signori del salotto buono si sono riuniti e hanno deciso di mettere fine a tutte le chiacchiere dichiarando che l’argomento del cambio di direzione del Corriere della Sera non è all’ordine del giorno e non lo sarà fino al 2014, quando scadrà il patto di sindacato. Allora, e solo allora, se ne riparlerà. Quindi de Bortoli potrà lavorare tranquillo per i prossimi tre anni. O così almeno sembra, perché quando si tratta del Corriere è meglio non azzardare previsioni.

Le tappe della Rizzoli1927 Angelo Rizzoli apre la tipografia “A. Rizzoli & Co”– 1974 Il Gruppo Rizzoli acquisisce la proprietà della società editrice del Corriere della Sera– 1977 La Rizzoli, a corto di liquidità, accetta il finanziamento del Banco Ambrosiano– 1980 Rizzoli si vede costretto a cedere la proprietà della casa editrice al Banco Ambrosiano– 1981 Scoppia lo scandalo P2, con gravi ripercussioni sulla Rizzoli, che viene commissariata nel 1982– 1984 Il Gruppo è rilevato dalla finanziaria Gemina. Ne fanno parte grandi nomi dell’economia italiana– 2003 Il Gruppo acquisisce l’attuale nome di Rcs MediaGroup- 2005 L’immobiliarista Stefano Ricucci tenta la scalata, fallita in seguito a indagini giudiziarie

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La sede del Corriere della Sera